V Video

R Recensione

8/10

Detachments

Detachments

Da anni, ormai, i revival musicali dominano nel pantagruelico mercato discografico (una crisi di idee o di identità?) e non è una novità trovarsi di fronte a riviviscenze synth pop divertenti che tuttavia emanano odore di chiuso. Forieri trendsetter sono stati gli Hurts, duo inglese che tra orecchini demodé, testi d’antan e brillantina a go-go ci proiettavano in una mondo plastico dalle tinte rosa. Tuttavia, nonostante il primo diffidente approccio, il disco scivolava via tra piacevoli sensazioni nostalgiche e qualche fastidiosa percezione di deja senti.

Con i Detachments la situazione è diversa, nonostante un’immagine fatta di Rayban wayfarer e spolverini grigi, la proposta musicale traluce barlumi di originalità.  Via dunque le idee pedisseque (che tuttavia permangono in alcuni spunti) per far largo ad un’embrionale palingenesi che li porta a distaccarsi (nomen omen!) da molti loro conterranei e a proiettarsi verso un nuovo sviluppo

. I tre londinesi si sono presentati al grande pubblico nel 2010 con quel singolo- The flowers that fell- che restituiva una band in linea con le recenti ( e noiosissime in alcuni casi) produzioni post-punk. Ci voleva il signor Hook (si, Peter Hook) per capire il potenziale dei questi tre neo-darkettoni e dare nuova linfa ad un progetto che altrimenti sarebbe annegato nel marasma confusionale che anima la scena londinese. Ovviamente un aiuto in regia è sempre comodo e per dare quel taglio moderno che avrebbe contraddistinto la nuova creatura, l’ex Joy Division si è avvalso della collaborazione di James Ford, vero e proprio mattatore di nuove tendenze musical-generazionali.

I Detachments nel loro album eponimo sono una macchina da guerra guidata dal leader Sebastien Marshall, narratore  di una società distopica caratterizzata da lividi scorci post apocalittici. La sua voce, baritonale quanto basta per portare alla mente il compianto Ian Curtis, trasuda egotismo ed arroganza nell’interpretazione semi-stonata dei brani, tuttavia riesce a dipingere perfettamente nella mente dell’ascoltatore i disagi tipici dell’uomo post-moderno. In bilico tra citazioni del passato ed arrangiamenti proiettati al futuro electro wave, la band londinese compie un lavoro certosino.

In Audio/Video, l’elettro teutonica animata da un motorik in 4/4 tipicamente Kaftwerkiano, riesce improvvisamente a reinventarsi grazie ad un waltzer in 3/4  che infrange la regola canonica strofa/ritornello deviando su lidi progressive. Se in alcuni brani è facile discernere una certa influenza smaccatamente wave - il singolo I don’t want to play richiama le produzioni passate degli Human League- in altri casi il talento trascende tale influsso restituendoci una band al limite dell’industrial contemporaneo (H.A.L. e la Mansoniana You never knew me).

Unica pecca da riscontrare nell’album (per molti forse un pregio) è l’eterogeneità dell’album, disgiunto in due lati virtuali. In un primo lato la parte più dark wave basata su strutture conformi, arrangiamenti eleganti e testi ossianici ed una seconda parte decisamente più lisergica in cui la struttura geometrica fa spazio allo spirito più libertino della band. I Detachments contribuiscono a plasmare il volto del nuovo darkmade in England”, regalano un esordio al fulmicotone, dalle tinte glaciali e beffardamente meschino nei testi. Un album che vacilla solo negli sporadici momenti più barocchi, talmente unici da non costituire dilemma per chi ascolta. La sorte ha voluto, ahimè, che cotanta maturità nell’approccio sia stata attribuita dalla stampa più ai nomi altisonanti che gravitano attorno all’album che alla bravura dei ragazzi coinvolti nel progetto. Sarà; intanto, in attesa del sophomore, crogioliamoci con questo piccolo gioiello.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

REBBY alle 10:50 del 29 ottobre 2011 ha scritto:

thisisnotanexiteheh

Riascoltato ieri, dopo parecchi mesi, le mie impressioni sono queste: le prime 5 sono hit calligrafiche primi anni 80, quasi delle cover, poi le cose si complicano un pochino e si fanno più "underground" (stesso periodo eh). Per me un ascolto gradevole ed un discreto esordio, ora però li aspettiamo al prossimo album, che dovrebbe essere più maturo e personale.

Leonardo Geronzi, autore, alle 11:01 del 29 ottobre 2011 ha scritto:

Mah, secondo me la maturità c'è. Il progetto segue le linee guida di certe sonorità blasonate, ma riesce a districarsi alla perfezione. Basti pensare a Holiday Romance, l'atmosfera tributa un certo pop '80 ma la canzone rimane un gioello e per me è quello che conta.

REBBY alle 8:56 del 31 ottobre 2011 ha scritto:

Vabbè opinioni diverse, ma concordiamo su Holiday romance, che è la mia preferita.