V Video

R Recensione

7/10

Immanuel Casto

Freak&Chic

Lo chiamano il Vate, il Casto Divo, lo Ziggy Stardust del bukkake, il principe del Porn Groove ma chi è, veramente, Immanuel Casto, al secolo Manuel Cuni, proveniente dalla ultra- progressista Bergamo?

E’ il creatore di Squillo, trashissimo gioco di carte da tavolo, una sorta di Yu-Gi-Oh! incentrato sullo sfruttamento della prostituzione, che può vantare tra i pezzi pregiati del mazzo carte quali “Ingoio finito in tragedia” o le esilaranti “Senso di colpa cattolico” e “Scientology”?

Oppure lo si identifica con più precisione sapendolo trentenne dal Q.I. così elevato da far parte del 2% della popolazione dotata dell’organo (cerebrale!) più sviluppato, il Mensa, tra i cui membri storici vale almeno la pena di citare il celebre scrittore Isaac Asimov?

Acuto utilizzatore del web, quale mezzo per espandere popolarità e conoscenze condivise o volgare cantore di sconcezze fini a se stesse?

La verità, come quasi sempre succede nella vita, non è da ricercarsi nel mezzo, quanto, piuttosto, in un’estremizzazione delle varie caratteristiche del personaggio, il quale si potrebbe dire figura sin troppo intelligente per non "dilapidare" il proprio talento nelle più svariate e triviali porcate. Difficile prenderlo sul serio, quando insiste nel voler rimarcare un sottotesto di denuncia sociale presente nei suoi testi, specie se esso viene ricercato nel contenuto degli stessi, quasi come a voler darsi un tono, a dire, cioè: "No, ragazzi, io non faccio solo roba demenziale, so andare in profondità" (e su quest’ultimo punto ci sono pochi dubbi, in realtà). Anzi, quando prova a calcare la mano, per davvero, su aspetti più “impegnati”, i risultati sono stati, fino ad ora, al di sotto dei suoi standard (ad esempio, nella mediocre Killer Star, che tratta il tema della spettacolarizzazione della cronaca nera, contenuta nel suo precedente album, Adult Music). Infatti, la vera satira il ragazzo la ottiene nella forma delle liriche (invero spesso più raffinate di quel che possa sembrare, sotto il profilo prettamente stilistico), espressione, essa stessa, di una società non soltanto depravata, ma, nel profondo, priva di un qualsivoglia spessore morale (non moralistico, che, al contrario, abbonda in questo mondo instancabilmente bigotto). Le canzoni di Casto, per lo meno le più riuscite, sono specchio perfetto non solo della vuotezza del nostro tempo, ma anche dell'evanescenza totale dell'arte, quando viene ridotta a puro involucro estetico e riflettono, indirettamente, anche l'incapacità critica di un pubblico incapace per lo più di coglierne il reale valore, derubricandole, frettolosamente, a stupidaggini di poco conto; al contrario, anche solo dal punto di vista strettamente musicale, il progetto è assolutamente valido. Non esiste, nel nostro paese, al momento, qualcun altro che sappia maneggiare meglio il genere del synth pop (qui però il merito deve attribuirsi al sound designer che da sempre accompagna il nostro, ovvero Dj Keen), per creazione di melodie tanto semplici, quanto efficaci e di rado banali, scelta di timbri e incastri di frasi di sintetizzatori. Siamo molto lontani, insomma, dal pressappochismo hipster di acts quali I Cani, Lo Stato Sociale, Tomakin, ecc. Per concludere il discorso e passare, finalmente, all'anal(isi) del disco in questione, si può dire che il vero punto di rilievo del bell'Immanuel sia la leggiadria, quasi fatalista, di chi, per sua natura, non è abituato a porsi limiti imposti da sovrastrutture speculative e coercitive per la creatività, ma si abbandona al suo flusso, ovunque esso conduca.

Dopo questa dissertazione sulla globalità dell'operazione Casto Divo (dico "operazione" in quanto ogni singolo aspetto, che sia musicale, di immagine o attenente alla sfera dei videoclip, è curato nei minimi dettagli dall'artista e da suoi fidi collaboratori), è bene soffermarsi sull'ultima fatica discografica da essa sgorgata, dando così un senso alla recensione, ovvero l'LP Freak&Chic, secondo capitolo del passaggio su major del bergamasco, dopo gli esordi, marchiati da un'aura amatoriale (in tutte le accezioni che questo aggettivo comprende), di matrice demenzial-electroclash, che vedono avvicendarsi gemme trash pop quali Che Bella La Cappella, Anal Beat o 50 Bocca/ 100 Amore. Chi temeva che il nostro si fosse imborghesito, dopo l'altalenante Adult Music (che comunque poteva vantare al suo arco la frecce quali Escort 25, Crash e, soprattutto, quel trogolo di perversione e degrado totale rispondente al nome di Broken Girl), forse non si ricrederà completamente, in quanto alla verve sessualmente esplicita e dissacrante degli esordi, si è ormai sostituita quasi in toto una poetica più allusiva ed ammiccante, ma non per questo meno divertente o ricercata. Non mancano comunque passaggi belli spinti, come l'incipit dell'adrenalinica title track o alcune frasi dell'esilarante Sexual Navigator, che dimostrano come il politicamente corretto sia espressione sconosciuta in casa Casto ("Mancano 200 metri/ ho investito un lavavetri/ non importa, era un cileno"). In generale, la prima parte dell'album è nettamente la migliore, riuscendo ad inanellare 5 pezzi davvero notevoli di synth pop virato dance, con tocchi French Touch, da far invidia a ben più blasonati artisti esteri (non tanto a gentaglia come David Guetta, ma sicuramente a un Kavinsky alcune idee qui presenti farebbero molto comodo). In particolare, la doppietta Tropicanal-Sognando Cracovia è roba di lusso, in Italia, in questi tempi di vacche magre, musicalmente parlando. La prima è una sinuosa electro ballad, con un testo meravigliosamente idiota ("al garrire dei gabbiani/dischiudiamo i nostri ani", "giunge dalla costa/un ritmo pederasta"), perfetto singolo dal ritornello irresistibile, roba che dovrebbe stare in cima alle classifiche, non relegata all'ascolto youtubbaro di nicchia. La seconda è, invece, una vera e propria perla, che, nella base, ricorda addirittura il Franco Battiato degli anni '80 (magnifiche le linee di synth nel ritornello), impreziosita dal duetto con la brava Romina Falconi, le cui liriche, questa volta, presentano davvero un retrogusto di profonda malinconia e tristezza, anche qui, però, tutto derivato dal tono farsesco con cui si descrivono le vicende di sfortunate ragazze dell'est Europa. Nelle mani di un qualche cantautorello da strapazzo un simile argomento avrebbe assunto contorni retorici o qualunquisti insopportabili. 

Non potendo, giustamente, impostare un disco tutto nella stessa maniera, Immanuel cambia registro nelle ultime quattro tracce, le quali si possono, a loro volta, suddividere in due blocchi: le due più techno-brostep, ovvero Anusmouthhand (insipida, la cosa migliore sono decisamente gli inserti di vocoder che pronunciano il titolo in maniera ridicolmente minacciosa) e Redemption (orrida, fortunatamente di brevissima durata) e le due più "italiane", che concludono il tutto, Comunione e Liberazione (geniale l'idea di intitolare così una canzone che parla di amore gay) e Da Quando Sono Morto. In queste due, il Vate del degrado alza (o abbassa?) la posta in gioco, tentando la svolta seria ed intimista ed i risultati non sono del tutto all'altezza delle sue ambizioni: se la prima può vantare una buona ispirazione musicale-melodica, dalle parti dei migliori Subsonica, ma non supportata da una grande lirica, la seconda presenta caratteristiche opposte, unendo parole discrete (tuttavia troppo prevedibili, nella metrica e nell'utilizzo della rima baciata; caratteristiche, queste, che funzionano a meraviglia quando utilizzate per illustrare in maniera divertita depravazioni e perversioni, ma che divengono tediose in tali frangenti introspettivi) a un piglio melodico pericolosamente sanremese. Se questo cambiamento preannuncia una svolta futura tutta indirizzata a questo nuovo stile, allora è bene correggere un po' il tiro; il rischio è quello di fraintendere le dimensioni del proprio talento, disperdendone i frutti in territori sbagliati. Il Casto Divo deve divaricare i propri orizzonti e puntare all’esportazione di sè presso confini esteri, che si spera non siano stringenti ed impervi come quelli che ivi gli si offrono, d’altro canto nemo propheta in patria ed Italia particolarmente (il caso dell’Italo Disco, idolatrata praticamente in mezza Europa, ma disprezzata nella sua terra d’origine, è eclatante). Le carte in regola ci sono tutte (letteralmente!), è giunto il tempo di sfondare per l' Immanuel (e, ne sono certo, di questo il nostro sarà entusiasta).

V Voti

Voto degli utenti: 5,2/10 in media su 6 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
gramsci 7,5/10
Lepo 7,5/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

Leonardo Geronzi (ha votato 7 questo disco) alle 11:10 del 12 aprile 2014 ha scritto:

A parte la goliardia del testo - che a me personalmente piace da impazzire - il singolo è oggettivamente una hit da paura. Qualche eco del Sebastien Tellier di Roche.....

Marco_Biasio alle 11:22 del 12 aprile 2014 ha scritto:

Lui è geniale, dissacrante come pochissimi ed una persona anche molto intelligente. Se vi capita andatelo a vedere dal vivo, perché merita davvero. Recensione che mi pare centratissima e che sottoscrivo in pieno, specialmente l'ultima frase...