Lucio Battisti
Don Giovanni
Lucio Battisti, ad inizio anni 80, è stufo marcio di gravitare attorno al mondo della canzone leggera. Certo, lavori come Amore E Non Amore ed Anima Latina avevano già intrapreso, e con enorme successo sotto il profilo artistico, altre strade. Ma tutto ciò, allalba del nuovo decennio, non è più sufficiente.
Per voltare pagina, Lucio deve liberarsi in un sol colpo del peso ingombrante del suo passato; e per riuscirvi non può che individuare un nemico cui addebitare la responsabilità di questo clima stagnante, per poi liberarsene: e lo individua nella persona che per oltre 10 anni ha contribuito in maniera determinante al suo successo, ovvero in Giulio Rapetti, in arte Mogol. E così, inevitabilmente, nel salutare il carrozzone mediatico con una storica intervista datata 1979, e che resterà lultima sino alla morte, Lucio non solo rilascia una vera e propria dichiarazione dintenti, sottoscrivendo, quasi fosse il Marinetti della canzone italiana, il Manifesto destinato a definire le coordinate della propria arte negli anni a venire, ma si permette pure il lusso di salutare, indirettamente, lamico di una vita.
Nel 1979, insomma, Battisti delibera in via definitiva e senza ripensamenti di proseguire il cammino da solo, senza ulteriori interferenze, senza la stampa, la Tv, il pubblico, Sanremo, le classifiche, i tormentoni, senza tutto ciò che lo aveva accompagnato sin dai tempi di Per Una Lira. E dopo aver pubblicato E Già, primo lavoro del post-Mogol datato 1982, Lucio incontra il poeta ermetico Pasquale Panella, di stanza a Roma: nasce così, quasi casualmente, il secondo importante sodalizio artistico della sua carriera. Nascono così quelli che passeranno alla storia come i dischi bianchi, in virtù del pallore delle copertine, minimali, cerebrali ed astruse come la musica che regalano gli ascoltatori. Panella svolge un ruolo cardine in quanto autore di tutti i testi dei dischi bianchi, a partire da Don Giovanni, primo prodotto del duo. Don Giovanni richiede quattro anni di incessante lavoro, ma non delude le attese: la maturazione compositiva di Battisti, rispetto ad E Già, è prodigiosa ed inaspettata.
Lucio, nel 1982, sembra già avere tutto in testa, ma non riesce ad esprimersi compiutamente, e così il disco suona a tratti insipido, sicuramente originale ma poco calibrato e lucido sotto il profilo del songwriting, oltre che povero e piuttosto banale in molte liriche. Nel 1986, invece, la nebbia diviene decisamente meno fitta, e Battisti, che ha capito esattamente cosa vuole e come muoversi, si introduce con decisione e voglia di stupire in mondi originali, stimolanti ed estremamente personali: forse troppo, al punto da scoraggiare tutti i possibili imitatori e da far storcere il naso a molti critici ed esperti dellepoca. Tutto questo, miracolosamente, senza rinnegare le proprie radici, saldamente ancorate alla melodia, e senza quindi smettere di suonare come il vero Battisti. Nel disco in questione, infatti, Lucio manifesta senza remore lamore per la musica elettronica e per tutte le novità prodotte dalla new-wave, specialmente inglese, ma le miscela secondo modalità decisamente personali, con particolare attenzione alla scrittura melodica del belpaese: e così il disco, al contrario del precedente, segna il ritorno verso melodie ben disegnate e distese, non troppo distanti dalle invenzioni più celebri del reatino.
Ciò che muta radicalmente è il contesto in cui la melodia viene immersa. E forse proprio in questo complesso equilibrio fra tradizione italiana e glaciali sonorità elettroniche si trova il segreto della bellezza di Don Giovanni. Bellezza dovuta, in ogni caso, anche alle liriche, che suonano fantasiose, debordanti, prive di inibizioni, decisamente colte ed al contempo giocose e sbalorditive; Battisti stesso le definirà incredibili, rivelando di apprezzarne limprevedibilità, il carattere sfumato ed a tratti persino cervellotico, capace di prestarsi ad innumerevoli letture ed interpretazioni. Le Cose Che Pensano, prima canzone dell'album, costituisce l'ideale, meravigliosa overture di tutto il periodo bianco. Trattasi di un pezzo particolare, che suona quasi ovattato e sospeso in una dimensione propria, avulsa rispetto al resto del mondo, costruito attorno ad un'armonia raffinata, arricchita da una tastiera che accompagna discretamente, quasi in contrappunto, la voce. Le liriche fanno ampio uso di immagini oniriche, a tratti romantiche ed a tratti persino raccapriccianti.
Lamore viene qui vivisezionato e calpestato, rimane il tema portante ma perde ogni connotato esplicitamente positivo, per ripiegare verso il rimorso e le ferite nascoste di unanima che rifiuta di affrontare il tema della perdita. O così, per lo meno, può apparire: ma nulla è certo, neanche dopo innumerevoli ascolti, quando si parla dei dischi bianchi. Fatti Un Pianto, a dispetto del titolo, è un pezzo ballabile ed irresistibile, anche nelle inusuali immagini del testo (E tu dici ancora che non parlo d'amore? / Batte in me un limone giallo, basta spremerlo!), il cui arrangiamento è arricchito da eleganti passaggi di sax. Equivoci Amici porta alle estreme conseguenze i giochi dialettici di Panella, storpiando nomi e cognomi degli amici per tramutarli in veri e propri equivoci, ed è decisamente il pezzo più scanzonato del disco, necessario contrappunto allatmosfera seriosa e colta di molte altre tracce. Don Giovanni viene a ragione considerata una delle canzoni più belle dell'intero repertorio battistiano, forte di un andamento cadenzato e di una bellissima melodia; il pezzo, peraltro, contiene il definitivo ed esplicito attacco di Battisti nei confronti di Mogol, e rivela così che lartista dei tempi di Dieci Ragazze è definitivamente morto e sepolto, e con lui forse anche una fase della storia della nostra canzone (Che ozio nella tournée / di mai più tornare / Nell'intronata routine / Del cantar leggero / L'amore sul serio / Scrivi / Che non esisto quaggiù / Che sono / L'inganno / Sinceramente non tuo). Che Vita Ha Fatto ha un andamento sinuoso e ritmicamente imprevedibile, costruito su stacchi improvvisi, ed ammicca al jazz nel rigoglioso arrangiamento. Il Diluvio è una dichiarazione dintenti del duo Battisti-Panella (Dopo di noi / il diluvio), ma è anche e soprattutto un pezzo meraviglioso, introdotto da passaggi cromatici del sintetizzatore e poi disegnato attorno a spunti melodici di primordine.
Le liriche sono contese fra epos ed ironia, e giocano con limmagine della pioggia scrosciante (Noi la fortuna degli ombrellai / Chili di liquidi dopo di noi Dopo di noi / Il bello verrà / Finché terrà / Lombrello). Don Giovanni finisce così, lasciando intuire che gli artisti già intravedevano la portata rivoluzionaria di quanto inciso. Per il Battisti bianco sarà solo linizio, ma per chi scrive questo lavoro rimane il vertice del periodo Panella, unopera che vale una carriera.
Tweet