R Recensione

6/10

Telepathe

Dance Mother

Continua a imperversare la voglia di anni ’80, e sulla scia di un 2008 che ha sdoganato (specie per il sottoscritto) dance (Cut Copy) e synth-pop (M83) ci si apre a un 2009 che con l’avventura delle Telepathe (duo formato dalle ladies Melissa Livaudais e Busy Gangnes) tenta di conciliare queste tendenze con la New York più underground e sperimentale. Padrino dell’operazione: Dave Andrew Sitek, membro dei Tv on the Radio e già produttore di Liars e Yeah Yeah Yeahs. A sentire Dance mother però sembrerebbe che Sitek non sia riuscito a mutare la natura di un gruppo tendente a melodie raffinate e pop da discoteca. E’ quindi abbastanza sorprendente scoprire che le Telepathe escano da un retroterra fatto di ep d’avanguardia e tribalismo vario. Ci si chiede insomma come diavolo si sia potuti finire a produrre un disco così accattivante e “popular”!

Sia come sia Dance Mother è un disco molto interessante per la sua eterogeneità e per le capacità che lascia per ora purtroppo solo pregustare. Fin dalla partenza So Fine si rimane invaghiti infatti da un electro-dance-pop waveggiante, chic e lustrato ma dotato di un buon groove 80s, femminile ma non molliccio.

Chrome’s on it e Devil’s trident precipitano in un burrone di sintetizzatori e suoni digitali che partono in entrambi i casi dagli M83 per approdare nel secondo caso a un clima eccitante e sensuale, in grado di giocare con successo tra basi radioheadiane, spoken word di marca black e succose sovrapposizioni di tastiere. Synth-pop romantico ed evocativo che tornerà solo nella finale Drugged, incantevole epicedio che ancora una volta non potrà eludere la lezione degli M83.

In mezzo però emerge l’anima indie del gruppo, come si sente nel pop corale di Michael (quasi dalle parti di Au Revoir Simone) e con In you line, dal suono più arty che però pecca di staticità e sostanza.

Lights go down è uno schizzato (e non riuscitissimo) puzzle digitale frutto di diverse tendenze: profondità vocali in stile Siouxsie, arie radical-chic e voluttà wave-glam-futuristiche, il tutto inquadrato in una struttura che per stile sarebbe potuta essere frutto delle conterranee Rings. Rimane poi l’aspetto più sognante ed etereo del duo, che si fa largo nettamente in Can’t stand it, dream pop in pompa magna sullo scia di Beach House e Burning Hearts (o se volete degno erede della tradizione Cocteau Twins) impastato in uno squisito shoegaze digitale. Nel finale c’è poi Trilogy-Breath of life, crimes and killings, threads and knives, a tratti una versione più cupa, spettrale e minimal-wave (con tanto di basi ora gothic-ambient, ora glitch-pop), a tratti invece un brano che dà l’impressione di sentire una Mia “bianca”, più pacata e composta ma ugualmente varia e incisiva.

Risultato finale più che soddisfacente insomma, ma con l’impressione che una certa confusione in testa ancora ci sia (cosa più che naturale all’esordio), e con il risultato di un disco che presenta qualche “buco” di troppo, mancando di spunti particolarmente incisivi. Attendendo il seguito Dance Mother resta comunque un disco molto interessante e abbondantemente sufficiente.

V Voti

Voto degli utenti: 6/10 in media su 3 voti.
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target 6/10
rael 6/10

C Commenti

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fabfabfab (ha votato 6 questo disco) alle 14:22 del 15 aprile 2009 ha scritto:

Sentito la prima volta pensavo fosse una bomba ... invece, dopo un po'...

target (ha votato 6 questo disco) alle 19:29 del 15 aprile 2009 ha scritto:

"Devil's trident" mi garba assai non solo perché evoca quel Ka-Pa-Ro a me caro che poco spesso ci offre Carletto nostro, mentre per il resto mi allineo alle vostre valutazioni. Disco gradevole, con cadute sparse (giustissimi i richiami su "Can't stand it", ma sia Beach House che Burning Hearts scrivono pezzi molto migliori) e qualche ambizione andata fuori bersaglio.

rael (ha votato 6 questo disco) alle 11:58 del 17 aprile 2009 ha scritto:

sufficientemente estivo_'