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R Recensione

10/10

The Pastels

Up For A Bit With The Pastels

Sembra incredibile ritornare a parlare a distanza di vent'anni su un gruppo tanto fondamentale per la storia dell'indie pop come i Pastels, ma è ancora più singolare il fatto che ben pochi realmente sono a conoscenza dell'influenza musicale (e mentale), che questo trio di Glasgow ha avuto sulle migliori band anorak pop angloamericane e non solo, dall’inizio degli anni novanta fino ai giorni nostri.

Quando Stephen McRobbie ha incominciato, nel 1987,ad indossare i panni di Stephen Pastel (chitarra e voce), attorniato da due giovani adorabili ragazzine, Annabel (Aggie) Wright (basso e voce) e Katrina Mitchell (batteria e voce), forse neanche immaginava che quel loro primo, stralunato, vivido e semi-amatoriale primo album avrebbe cambiato molte cose.

Inutile dilungarsi troppo, "Up For A Bit" parla da sé sin dal primo ascolto, è infantille, dondolante, travolgente, semi-improvvisato in apparenza, rigorosamente e ridondantemente pop.

"Ride" apre le danze e manifesta una voce che più annoiata e biascicata non si può, di una svogliatezza talmente disarmante da sembrare naturale, e forse è proprio questa ricerca del minimo sforzo ad essere la vera e propria rivoluzione. "Up For A Bit" risveglia l'ascoltatore che invaso da una base ritmica prettamente ottanta con l'incursione di tastierine e trilli di xilofono perde consistenza ed acquisisce docile infantilismo.

"Crowl Babies" spiega delle chitarre spigolose al vento di coretti di reminescenza barrettiana, come anche il memorabile slide nella chitarra di "Address Book" ricorda vagamente la commovente "Late Night" del da poco scomparso Syd.

"I'm Allright With You" è quanto di più naif e sincero si possa chiedere ad una canzone, una sorta di mescita tra gli spensierati ritornelli delle canzoncine anni sessanta e le partiture sbilenche dei Vaselines. Seguono i raggianti clap-clap di "Hitchin' A Ride" uno stornello tutto da cantare che alla fine del "giretto" termina in un ineguagliabile yeah-yeah.

Il trio sfoga tutta la sua vena soft-punkeggiante in "Get A Round Town", ed addirittura delle campane segnano il tempo ormai trascorso in "Automatically Yours" prima che la geniale cantilena pop funk reiterata di "Baby Honey" e la riposata "If I Could Tell You" completino il disegno di un album perfetto. Non resterebbe che riporre i pastelli nell'astuccio ed aspettare impazientemente un loro nuovo capolavoro.

Con il senno di poi sappiamo che ciò in parte non avverrà, poichè seguiranno altri 3 buoni album ("Sittin Pretty" del 1989 , "Mobile safari" del 1995 e "Illumination" del 1997) ed una colonna sonora per un film indipendente ("The Last Great Wilderness" del 2003), ma niente avrà più quel sapore, quei tratti e quel colore che caratterizzò il loro primo grande capolavoro.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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otherdaysothereyes (ha votato 8 questo disco) alle 21:39 del 5 gennaio 2009 ha scritto:

Gran bel disco...

...che in teoria ha tutti i connotati per piacermi dato che ho sempre adorato il rumorismo di scuola scozzese venato di armonie pop(vedi Jesus & Mary Chain e Vaselines)e la scena di Glasgow in generale, ma che sfortunatemente non riesce a entusiasmarmi così tanto come altri album indie-pop.

Per me è cmq un 7,5.

Cas (ha votato 8 questo disco) alle 10:24 del 28 ottobre 2011 ha scritto:

la ricerca di immediatezza melodica è controbilanciata dalla svogliatezza annoiata che pervade ogni brano, dal jangle barcollante delle chitarre, dal tipico andazzo "shambling" caro a molte altre band inglesi dell'epoca (per dirne una: Shop Assistants). insomma, manifesto di un'epoca e di uno stile, tra i migliori lavori indie-pop...

Dr.Paul alle 11:41 del 28 ottobre 2011 ha scritto:

tra i migliori lavori indie-pop...

parole sante Cas! anche perchè nella classifica SdM di oggi e ieri l'altro....troviamo un sacco di roba che prende spunto da qui e da tutte le cose C86 e dintorni: wedding present, beat happening, shop assistants, talulah gosh, vaselines, orange juice. la "famosa" Retromania di cui parla Reynolds (ma è fico il libro qualcuno l'ha letto?)