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R Recensione

7/10

Arbouretum

Coming Out Of The Fog

Quasi in punta di piedi, il passo lento e regolare, con una costanza e una coerenza sonica praticamente desueta in questo decennio e passa di pindariche acrobazie ipermusicali, gli Arbouretum si sono guadagnati uno strapuntino di riguardo fra le prime file del rock alternativo americano. Un rock alternativo che, nel caso specifico della band di Baltimora, guarda contemporaneamente agli anni 90, con i suoi cascami grunge e post stoner, e alla tradizionale rurale e psych a cavallo fra i  60 e i 70. Cinque album finora, tutti di buon livello anche se alcuni più riusciti di altri  – è il caso di “Rites Of Uncovering” del 2007 e dell’ultimo “The Gathering” del 2011 – hanno permesso al gruppo capitanato dal cantante e chitarrista Dave Heumann di assestare a poco a poco, con perizia artigianale non priva di una certa classe, un suono potente e compatto ma nello stesso tempo malleabile, permeato di piccole ma ingegnose variazioni sia ritmiche (le eleganti figure del batterista Brian Carey, il basso vibrato e cavernoso di Corey Allender) che armoniche, un sostrato psichedelia brumosa e crepuscolare coronato dalle melodie trasognate e dai testi forbiti dello stesso Heumann: una voce melanconica, ora tremula, ora stentorea, carica di spleen, un timbro che a tratti può ricordare quello di un Nick Drake o di un Richard Thompson. Una connotazione profonda e riconoscibile da cui non si discosta più di tanto il nuovo “Coming Out Of The Fog”, forte della ben collaudata capacità degli Arbouretum nel bilanciare una componente più cantautorale e circolare (di chiara ispirazione alt-country) con una più heavy-rock, aperta a digressioni strumentali e in certi casi sperimentali, veicolate in particolare dall’eccellente lavoro sui volumi, gli effetti e gli assoli essenziali ma pervasivi della chitarra di Heumann, qui saturata dalle tastiere o limata dal piano di Matthew Pierce. Nella prima categoria rientrano pienamente la title-track, acustica e classica per piano e steel guitar, ma soprattutto la splendida “Oceans Don’t Sing”, uno dei loro migliori brani di sempre, dove il cantato di Heumann tocca vertici assoluti d’ipnotica e dolente delicatezza e, verso la metà, un picking avvitato e ammaliante introduce l’elettrica, ruvida ma discreta, per un finale in dissolvenza. Nella seconda, invece, spiccano “The Promise” con i suoi bridge rocciosi e carichi di fuzz, gli staccati quasi alla Blue Cheer e “All At Once”, processione marziale e stralunata, con la voce rarefatta da un leggero delay, un grande solo di chitarra screziata e metallica e una chiusura quasi raga, oltre a “World Split Open”. In mezzo – con una menzione a parte per il rumorismo tutto strumentale e post-core di “Easter Island” – si collocano invece la stanca, ciclica cavalcata in un’oscurità metafisica di “The Long Night” e “Renouncer” , mid-tempo rurale cromato d’inflessioni grunge/stoner, in mezzo alle quali, grattando la ruggine della distorsione, la chitarra si scioglie in variazioni agrodolci e penetranti. Pur non offrendo grandi sorprese a chi già conosce e apprezza la musica degli Arbouretum, “Coming Out Of The Fog” è un album che conferma appieno la crescita graduale e lineare della band e dimostra che scrivere ottime canzoni rock è qualcosa che non si improvvisa dall’oggi al domani. Ed è quello che più conta.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Franz Bungaro (ha votato 8,5 questo disco) alle 21:05 del 30 novembre 2013 ha scritto:

Sto riascoltando questo disco a distanza di mesi dalla prima volta. Devo dire che ha proprio qualcosa di magico. Dispiace davvero che praticamente ovunque sia passato senza lasciar segno. Credo sinceramente che sia nella (mia) top ten dell'anno.