R Recensione

6/10

Black Francis

Bluefinger

La storia di Frank Black, o Black Francis che dir si voglia, non ha certo bisogno di essere raccontata al pubblico del rock. Il corpulento pazzariello di Boston è, con i suoi Pixies, una delle figure più importanti dell’alternative rock di fine anni ’80. Basterebbe questo per capire che trovarsi di fronte ad un album del signore in questione, un album da solista che esce a quasi 18 anni dall’ultima prova convincente e ancora rivoluzionaria dei Pixies (Doolittle, ché Bossanova è nella media, troppo nella media per un gruppo come i Pixies), può spingere l’ascoltatore e il recensore a sentimenti contrastanti. È innegabile: vedere Brigitte Bardot ora, senza sapere chi è stata, è una cosa; vederla con in testa le immagini del suo passato è un’altra cosa.

Per cui avvicinarsi a Bluefinger, che per la cronaca esce sotto il nome Black Francis, non è affatto facile. Rispetto alle ultime prove, però, che considero abbastanza deludenti, Bluefinger ha una certa vitalità che dimostra, perlomeno, le buone intenzioni del “ragazzo”. Captain Pasty ne è una buona dimostrazione, ma provate a togliere la voce di Frank e metteteci sopra quella di Eddie Vedder: non sembrano gli ultimi Pearl Jam, dignitosi ma pur sempre… ultimi? Il passato pesa, è vero, ma il brano è “a prescindere” abbastanza ordinario. Sfornare un riff del genere, una frenesia e una ruvidezza del genere è forse tanto nel panorama musicale odierno, ma chi l’ha detto che dobbiamo per forza accontentarci?

Un po’ meglio Threshold Apprehension, che rispolvera (fatte le dovute proporzioni) i fasti dei tempi che furono: la voce è delirante e paracula, le chitarre graffiano a dovere e, insomma, si comincia a ragionare. Test Pilot Blues è, appunto, un tentativo di fottere il blues (ma a tratti anche il Mersey-beat) con il delirio dei Pere Ubu: un tentativo che in passato ha caratterizzato fortemente i Pixies. Il risultato è buono se guardiamo alla canzone nei suoi fondamentali, come la (bella) linea vocale, la sezione ritmica e il lavoro della chitarra. Lolita, invece, strizza fin dal titolo l’occhio al pop, ma purtroppo la contaminazione qui non riesce come vent’anni fa e, personalmente, per accontentarmi di una canzone piacevole (pure l’armonica!) non ho bisogno di rivolgermi a Frank: ci sono già gli Oasis.

La successiva Tight Black Rubber finisce per essere, forse, il pezzo migliore della prima parte del disco perché non pesca ostinatamente nel passato, è onesto e finalmente l’esplosione, per quanto controllata, c’è. Trascurabile Angels Come to Comfort You, altra scampagnata nella canzonetta che più che altro conferma la voglia di suonare per divertirsi, forse il vero filo conduttore dell’album. Your Mouth Into Mine rispolvera un riff che potrebbe benissimo (s)figurare tra i brani minori dei Pixies, ma sfocia subito in una ordinaria canzonetta. La frenesia c’è sempre, e del resto fa parte del personaggio, ma alla lunga fa anche un po’ sorridere. Discotheque 36 è, da questo punto di vista, ancora più estenuante: un pop ben fatto e scanzonato, con tanto di coretti femminili qua e là a giocare con la voce di Frank. You Can’t Break a Heart and Have It, nonostante tutto, fa invece la sua porca figura per piglio, foga e sezione ritmica (e riprende un po’ gli stilemi dei brani più tirati dell’album). She Took All the Money non ha pretese: è una canzoncina acustica che si regge sulla divertita esibizione di Frank.

Il finale è affidato alla title-track, una specie di slow-blues che fa sussultare, specialmente per il lavoro della chitarra di Frank, qui davvero interessante. Ma, se permettete, è un po’ troppo tardi perché la festa ha lasciato molto a desiderare, e i fuochi d’artificio fanno sussultare solo i bambini, ché gli adulti (purtroppo), una volta arrivato il botto finale, hanno sempre fretta di tornare a casa. Come i grandi, Frank è uguale soltanto a se stesso; come i grandi, Frank ha pure i limiti di se stesso.

Intendiamoci: Bluefinger non è una schifezza, e anzi fa crescere soltanto la stima per una leggenda vivente che, nonostante l’età e tutto il resto, ha ancora voglia di rock’n’roll, inteso come sempre alla sua maniera. Soltanto che tra l’una e le cinque stelle si può essere anche propensi a darne tre: il che, dopo una carriera ultraventennale, non è nemmeno male. Ma, diciamocelo chiaramente, come nel caso di Brigitte Bardot conoscere il passato conta parecchio. Almeno mezza stella.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

DonJunio alle 8:50 del 17 settembre 2007 ha scritto:

I wanna grow up to be a debaser!

il paragone tra le corpulenze della bardot e quelle di francis mi sembra perfettamente calzante..scherzi a parte, ho smesso da un po' di seguire l'alacre lavoro solista dell'ex Pixies, chissà se faranno mai un nuovo disco.....

Marco_Biasio alle 11:27 del 17 settembre 2007 ha scritto:

Bravissimo Carlo

Non penso che prenderò il disco -già i Pixies mi piacciono in modo moderato, Frank Black da solo non so- però il tuo è uno scritto davvero lodevole. Mi è piaciuta soprattutto la metafora finale, quella sui fuochi d'artificio. A rileggerti!

The_Boy_Racer (ha votato 8 questo disco) alle 16:48 del 17 settembre 2007 ha scritto:

riecco il teenager of the year...

Credo che tutti gl album di Frank Black come solista e con i Catholics (almeno fino a Dog in the Sand) siano dei piccoli capolavori purtroppo sottovalutati (e decisamente più interessanti delle ultime, stanche prove dei Pixies). Effettivamente questo Bluefinger non è fra le sue cose più riuscite, ma a mio parere resta un ottimo disco