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8/10

Codeine Velvet Club

Codeine Velvet Club

Era il dicembre del 2009 e mentre il mondo si apprestava a celebrare festività natalizie e capodanni vari, in Gran Bretagna veniva pubblicato il disco d’esordio di un’interessantissima quanto elegante band scozzese.

Giusto un anno prima, nel 2008, il talentuoso e polivalente Jon Lawler, meglio noto per essere stato leader dei ben più famosi Fratellis, conosce e arruola Lou Hickey, raffinata vocalist scozzese dalla voce incantevole e dalla squisita sensibilità artistica, dopo averla vista esibirsi in un club burlesque d’oltremanica. Nascono così i Codeine Velvet Club (inizialmente battezzati dallo stesso Lawler Codeine Breakfast Club).

Nell’agosto del 2009 Il duo britannico appena formatosi annuncerà, con un articolo sul Sunday Mail, l’uscita dell’imminente album d’esordio, intitolato semplicemente Codeine Velvet Club, registrato da Tony Hoffer (già produttore dell’ottimo esordio dei Fratellis, Costello Music) e dallo stesso Lawler per la Island Records. Anticipato dal singolo Vanity Kills il disco riceverà recensioni positive ed entusiastiche da parte della stampa specializzata inglese, ma i nostri non riusciranno ad imporsi alle grandi platee, come la qualità della musica proposta avrebbe meritato. Nel marzo 2010 l’etichetta indipendente californiana Dangerbird Records (Hot Hot Heat, Silversun Pickups e più recentemente Beady Eye, il project degli Oasis orfani di Noel) distribuisce l’album per il mercato statunitense e i CVC partono per un tour che li vedrà impegnati per tutto il corso dell’anno, con apparizioni in vari festival indipendenti nelle più svariate zone del globo, con date al Fuji Rock Festival (in una scaletta che comprendeva anche Muse e MGMT) e negli USA come supporto ai Metric.

Musicalmente i Codeine Velvet Club propongono una miscela tanto difficile da descrivere quanto efficace all’ascolto.  L’eleganza è il fulcro della proposta artistica del gruppo scozzese, che presenta un album di soft rock garbato e radioso, una sorta di pop ultra sofisticato, impreziosito dal massiccio utilizzo di strumenti a fiato, pianoforte, sassofono e trombe che fanno da contorno ad una base musicale solo apparentemente semplice. L’intera opera fonda le proprie virtù sulle delicate melodie e trova il suo valore aggiunto nel delizioso intrecciarsi delle due voci soliste, che si rincorrono e si fondono in un’alternanza meravigliosamente ben costruita. L’esplosiva verve vocale della Hickey ci riporta indietro nel tempo, richiamando alla memoria un’epoca che fu, con atmosfere che rimandano alla chanson française, donando al sound dell’intero album un gusto piacevolmente retrò. Altrettanto efficace risulta la performance vocale e chitarristica di Lawler, la cui evidente passione per il rock ‘n roll e l’amore per un sound smaccatamente seventies (già ampliamente palesato nei Fratellis) contribuisce non poco alla riuscita del disco proposto. L’aspetto compositivo è quasi esclusivamente affidato allo stesso Lawler, coadiuvato in qualche occasione dalla Hickey (nell’articolo di presentazione sul Sunday Mail, Lawler parlava di composizione divisa a metà, nonostante i credits lascino intendere diversamente) fatta eccezione per l’ottima riproposizione di I Am the Resurrection, cover degli Stone Roses. Al fine di completare il progetto, i due indiscussi protagonisti dell’opera sono affiancati da molteplici musicisti e strumentisti vari, tra i quali il tastierista Will Foster e un’importante serie di sassofonisti e trombettisti.

La qualità complessiva del lavoro è assolutamente elevata, ma delle perle pregiatissime emergono con vigore ed eleganza ponendosi all’attenzione dell’ascoltatore: il singolo apripista Vanity Kills, la cinematografica Hollywood, la delicata Time e il pezzo capolavoro del disco, la deliziosamente indie The Black Roses, traccia che rappresenta al meglio lo stile unico del gruppo scozzese, il cui mood risulta insieme tanto oldies quanto fresco e sensuale. Codeine Velvet Club è un disco magnifico composto da un collettivo meraviglioso, la cui musica è tutta da ascoltare e ballare, perdendosi nel passionale timbro di Lou Hickey, e non solo. La brutta notizia è che, nonostante Lawler avesse annunciato di aver già pronto il materiale per il secondo disco, i Codeine Velvet Club si sono improvvisamente sciolti sul finire del 2010, lasciandoci il rammarico e l’amarezza di non averli mai visti in Italia e non averli potuti apprezzare per un periodo più lungo, ma regalandoci in eredità uno dei dischi più belli ed originali degli ultimi anni.

 

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C Commenti

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target (ha votato 6 questo disco) alle 12:29 del 4 maggio 2011 ha scritto:

Il pezzo qua sopra è interessante. I Fratellis non mi piacevano, ma l'aria sembra diversa, sophisti-pop che ammicca alla Scozia indie. Un'evoluzione simile a quella Arctic Monkeys > The Last Shadow Puppets? Benvenuto, intanto!

Federico Colocresi, autore, alle 21:41 del 4 maggio 2011 ha scritto:

con i Fratellis in effetti non hanno nulla a che fare. Questo secondo me è un disco con un'atmosfera davvero particolare, perciò fare confronti non è semplice, e per fortuna aggiungo. E' da ascoltare! Intanto...grazie per il benvenuto

REBBY alle 9:14 del 5 maggio 2011 ha scritto:

Si benvenuto, intanto. Il disco non lo conosco e non ricordo nemmeno di aver letto qualcosa al riguardo. Ottima scelta, a prescindere, dunque. Faccio solo una riflessione, quindi, sul brano qui proposto. L'atmosfera che percepisco, a caldo, è quella di una canzone da balera giovane degli anni 60 (roba, per capirci, tipo il Piper di quand'eran sbarbe frequentatrici Patty Pravo o la Caselli), non mi pare "un sound smaccatamente seventies" (ma magari le altre...). E poi, giusto per cercare di inquadrare il tuo "metro di giudizio", che voto daresti se tu fossi oggi il recensore del primo disco dei Fratellis?

Federico Colocresi, autore, alle 14:55 del 5 maggio 2011 ha scritto:

Premessa: I Fratellis sono menzionati più volte nella recensione soltanto perchè parliamo dello stesso soggetto (Lawler), a livello musicale non ci sono collegamenti. Quanto al voto ti dico che non è una mia specialità dare votazioni...sono troppo suscettibili di variazioni nel tempo. A suo tempo fu un disco che non mi fece impazzire, riascoltandolo credo abbia qualcosa di valido (ottimo era un giudizio più riferita alla produzione, nel senso che il sound risultava efficace). Direi 6,5. Che Lawler adori gli anni 60-70 è evidente. Quanto alla canzone qui proposta non sono molto d'accordo sull'atomsfera piper, rimanda un po' agli anni 40-50 questo si. Prova Black Roses, lì il sound seventies è più marcato. La mia impressione è che comunque Lawler parta da un sound seventies per trasformarlo in un pop-rock molto ricercato.

hiperwlt alle 16:32 del 5 maggio 2011 ha scritto:

"A suo tempo fu un disco che non mi fece impazzire, riascoltandolo credo abbia qualcosa di valido"

personalmente, vale esattamente il contrario. sarà perché l'ho vissuto come un momento aggregativo e con spontaneità. "costello music" è un disco immediato, anche danzereccio, dal trasporto incredibile ("henrietta","for the girl", tipo),chiassoso; una costante nelle autoradio, durante le prime uscite in macchina con gli amici (d'altronde, la patente era fresca fresca). oggi, mi lascia piuttosto tiepido; ne conservo lo stesso un bel ricordo. comunque, benvenuto anche da parte mia, Federico: bell'esordio

REBBY alle 8:38 del 23 maggio 2011 ha scritto:

Anch'io ritengo The black roses la migliore del lotto. E' un album, mi pare, a metà del guado tra il citato (da Target) The last shadow puppets dell'anno precedente e il God help the girl dello stesso anno. Lo trovo carino, simpatico e molto (anche se non solo) sixty-oriented: tardo beat, rythm & blues, screziature jazz, atmosfere cinematiche, arrangiamenti orchestrali dei Sanremo (FabFabFab docet eheh) e melodia e stile canoro affini a quello del mitico mangiadischi di mia mamma giovane.

Federico Colocresi, autore, alle 0:00 del 24 maggio 2011 ha scritto:

Si mi sembra che Rebby fotografi beni l'atmosfera del disco. Un tuffo nel passato non fa male, soprattutto se non si guarda ai soliti gruppi di riferimento ma si va oltre, e ancora di più se lo si fa con la raffinatezza dei Codeine.