R Recensione

8/10

Counting Crows

Saturday Nights & Sunday Mornings

Anche se in questi anni di silenzio discografico hanno meritato addirittura una nomination all’oscar per un brano della colonna sonora del film di animazione Shrek,  i Counting Crows si riaffacciano nei negozi di dischi soltanto ora. Ma il ritorno non passa inosservato: addirittura un doppio concept album. Il titolo del disco, infatti, fa riferimento alle due parti distinte di cui si compone l’opera, cioè ai sabati sera passati a folleggiare nella selva di locali notturni della città degli angeli e al conseguente risveglio traumatico del mattino dopo.

Le due parti non sono distinte solo nei testi, ma c’è una vera spaccatura musicale : la prima parte appare più movimentata, più veloce, mentre la seconda, che gode anche di un differente produttore, è più intimista e riflessiva. Il disco si apre con 1942, il pezzo più rock che si possa fare restando ancorati ad una tradizione classica, veloce e potente, portavoce dello spirito che permea la prima parte dell’album e che si riflette in Hanging Tree, mentre l’atmosfera è più rilassata in Los Angeles, perché è una vera e propria ode lirica all’assolata metropoli californiana a cui collabora Ryan Adams. Bella anche Insignificant , che un po’ riassume lo spirito di ogni artista in perenne equilibrio (“Non voglio sentirmi così diverso, ma non voglio nemmeno essere insignificante e non so come fare a vedere le stesse cose in modo diverso, ora”). È Cowboys a terminare la notte brava losangelina, un’esplosione di parole che esaurisce tutto ciò che la band aveva da dire sull’argomento Saturday Nights, e poi tutti a dormire.

Il dolceamaro risveglio è affidato ai moltissimi richiami folk e country che la band non ha mai nascosto essere parte del proprio curriculum, come dimostrano le chitarre acustiche e la fisarmonica di On Almost Any Sunday Morning. Ma se gli aspetti più rilassati di questa seconda parte sono molto interessanti da un punto di vista musicale (e la critica con la puzza sotto al naso sarà in estasi mistica, probabilmente), forse la mancanza, per lunghi momenti, della componente elettrica e della sezione ritmica, appesantisce l’ascolto, come quando si intrecciano pianoforte e chitarra in When I dream of Michelangelo o nel noioso pezzo On a Tuesday in Amsterdam Long Ago. Ma ci sono anche dei veri e propri gioielli di intensità emotiva, l’amara You can’t count on me è un esempio lampante di brano che rispecchia lo spirito di squadra della band oltre al carisma del suo leader.

Conlcude la seconda parte e l’intero disco la bellissima Come Around.

Volendo trovare il pelo nell’uovo, forse avremmo preferito più Counting Crowes e meno Duritz da solo, e un briciolo di ‘cattiveria’ in più. È un disco che non fa gridare al miracolo, ma che di certo lascia il segno; e se immaginiamo già di sentire cori di protesta perché dopo sei anni di assenza qualcuno avrebbe voluto ascoltare qualcosa di diverso, in difesa del gruppo possiamo di certo affermare che, sì, saranno uguali a sé stessi negli anni, ma almeno non sono uguali a tutti gli altri; non troppo diversi, ma nemmeno Insignificant.

V Voti

Voto degli utenti: 5,3/10 in media su 4 voti.
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rubens 6/10
REBBY 5/10

C Commenti

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REBBY (ha votato 5 questo disco) alle 17:34 del 12 agosto 2008 ha scritto:

Classic american rock del genere che non mi è mai

piaciuto. Porto con me l'ultima (Come aound) e

null'altro