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7/10

L'Ordine Naturale Delle Cose

L'Ordine Naturale Delle Cose Ep

The Strange Situation di un paio di anni fa lascia posto – ed evidentemente spazio – a L’Ordine Naturale Delle Cose, che possiede tutti i crismi e il respiro di un disco d’esordio, senza esserlo in realtà totalmente: lo scarto in avanti è pressoché netto, e prezioso sembra essere stato quel “Dentro” del 2012, veicolo di germi di grazia quanto di ombre stonate. L’Ordine Naturale Delle Cose da Parma cambia ragione sociale senza ripartire dal buono – egregio – evidenziato nell’”esordio”, ma stravolgendo la propria formula: tabula rasa di tutto fuorché della saggezza acquisita.

Il risultato è questo ep omonimo di quattro tracce prodotto da Omid Jazi (turnista dei Verdena, e si sente), in cui ad emergere è un’obliqua vena alt-rock, con digressioni voluttuose nella psichedelia e nel dream pop, finalmente – soprattutto – con liriche all’altezza e un cantato, quando non disinvolto, perlomeno poco ostentato, che si fa strumento e mai primadonna. Paiono scaturiti dalla penna di Jacopo Lietti (Fine Before You Came) i testi, valga come complimento, per asciuttezza e semplicità nell’esporre/imporre all’ascoltatore il disincanto liberatorio, strafottente quanto doloroso, di piccole storie d’amore quotidiane. Musicalmente, il primo nome a venire in mente è quello dei Verdena degli ultimi dischi: tanto nella voce di Stefano Cavirani (in realtà mai sopra le righe a differenza del bravo Alberto Ferrari, dal quale si smarca infondendola di una sorta di innocenza indolente), quanto nelle trame elettroacustiche (come ascoltare Wow in vinile modificando a intervalli irregolari gli rpm del giradischi).

Proprio l’altalenanza apparentemente scostante e improvvisa di ritmi e atmosfere può essere la carta vincente della band parmigiana: Questa è una danza di viola e arpeggi che si fa livorosa, poi liquida e dilatata. Parte funkadelica La Volta Buona, si lascia saturare dalla viola (onnipresente e opportuna) e si risolve in un levare orientaleggiante, al pari dell’incipit di Opaca, cautamente schizofrenica sino all’assolo finale di batteria e diluizioni. L’intero lavoro è percorso dagli acuti tratteggiati della chitarra elettrica, cinguettii singhiozzanti che qui diventano vero marchio di fabbrica. L’ep si chiude nell’onirico logorio di In Punta Di Piedi, che alterna arpeggi lievi a sfoghi impetuosi ("abbiamo preso i nostri desideri e li abbiamo calpestati"), fino al congedo di archi e stille perforanti di Fluido Rosa.

La levità cristallina degli Strange Situation s’è fatta catramosa e sfocata, rimanendo un ricordo sbiadito sullo sfondo. Mezzo punto in più per il coraggio dimostrato: ripartire dalle fondamenta può essere dispendioso, ma è l’unico modo per erigere cattedrali. Non vi manchi mai l’ambizione, ragazzi.

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