Madrugada
Madrugada
Luoghi comuni e pregiudizi sono separati spesso da sottili distanze e la lotta per estirparli non è così semplice. D’altronde l’ignoranza si combatte informandosi e quando nell’ambito della giornata ti trovi tra le mani un disco che riporta in copertina un “Madrugada” scritto in lettere rosse cubitali l’unica cosa che rimane da fare è metterlo nello stereo e sperare di non essere di fronte al dischetto di musica latina o etnica da due soldi. Una scorsa veloce alla biografia del gruppo e si scopre che viene dalla Norvegia. Madrugada…e viene dalla Norvegia. Tanti pensieri si affollano nella testa. Tra questi spunta fuori il fatidico: “ma in Norvegia non fanno solo metal?”. Si. E Germania fanno colazione con i crauti e in Italia suoniamo solo Modugno ballando la tarantella.
Insomma tutto ciò per dire che nonostante l’origine geografica quasi sconveniente e un nome altrettanto inadatto l’ultimo disco dei Madrugada è bello, anzi, molto bello. Ed è completamente diverso da quello che ci si aspettava. Ovviamente il sottoscritto non conosceva i dischi precedenti che è andato a ripescare solo successivamente scoprendo cosine incantevoli come Industrial silence (1999) e The nighty disease (2001). Grit (2002) e The deep end (2005) si assestavano invece su livelli di sussistenza senza entusiasmare, tanto più che proprio in relazione a questi ultimi album non esaltanti che sembravano indice di un declino avviato c’è da apprezzare questo quinto lp omonimo, probabilmente anche migliore dei due acclamati dischi di inizio carriera.
Riguardo allo stile il combo norvegese nella sua carriera è stato in grado di spaziare tra i generi ma fondamentalmente il suo campo di attività è un alt- rock profondamente noir, spesso ai limiti del dark e del gothic. Madrugada accentua ulteriormente questa caratteristica essendo stato realizzato in concomitanza con la dipartita del chitarrista Robert Boras, avvenuta nell’estate 2007; un evento che mette a repentaglio la sopravvivenza stessa della band.
Come i Metallica in seguito alla morte di Cliff Burton seppero reagire con quel capolavoro che fu …And justice for all così i Madrugada in formato minore (ma neanche troppo) riescono a infondere questa profonda vena tragica nella loro musica. E lo si capisce dall’iniziale Whatever happened to you, ballata cupa e preziosa in cui il cantante Sivert Høyem resta in bilico tra calibri grossi come Antony and the Johnsons, Mark Lanegan e Nick Cave mentre la musica potrebbe fare invidia ai Grant Lee Buffalo e ai Black Heart Procession.
Nick Cave è la fonte di riferimento principale dell’intera opera: lo si ritrova in versione cantastorie del west nella tetra e intensa Look away Lucifer, blues psichedelico picchettato di scariche elettriche, in New woman, new man in versione dark e in The hour of the wolf nella sua forma più vibrante (in un brano che tra l’altro si apre con assolo di younghiana memoria).
Ma i Madrugada sanno fare anche altro oltre a sfruttare impeccabilmente le autostrade aperte dall’artista australiano e lo dimostrano a più riprese: Highway of light intreccia in una miscela intensa ed emozionante soul, blues e rock. What’s on your mind invece fonde mirabilmente country, folk e soul suonando incredibilmente classica e intrigante in un misto tra il Chris Isaak dei tempi d’oro e il Grant Lee Phillips di Fuzzy.
La tragicità della ballata acustica Honey bee invece sosta a metà strada tra i Black Heart Procession e Antony and the Johnsons sfiorando talora un certo lirismo alla Leonard Cohen.
Sul finale del disco poi la qualità sfiora l’eccelso: Valley of deception parte da brividi con il binomio voce-chitarra ad accompagnarsi l’un l’altro in un decadente spleen d’autore. Soul e folk si incontrano e per un attimo sembra di risentire l’ultimo mirabile Johnny Cash.
Poi Our time won’t live that long, la perla che chiude in maniera mirabile un disco commovente. Songwriting scarno ed essenziale che eguaglia e forse supera i vari Cohen, Cash e Cave, trascendendo i decenni, scavalcando i generi e colpendo direttamente al cuore. È solo una voce che accompagna una chitarra. Per lo più in versione demo o low-fi. Eppure si rimane incantati.
Forse ce lo eravamo dimenticato quanto poco basti per esprimere la bellezza.
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