Minutemen
The Punch Line
Theres a hanging in Turkey / Two necks for the noose / Ones a rightist / The others a leftist / What the fuck / Fanatics
Questa è la storia di un disco registrato in una sola seduta (per fare prima), dopo mezzanotte (per spendere meno), su nastro di seconda mano (perché è quello che passava il convento). È la storia di due amici, poi tre, anzi cinque, dieci, cinquanta, incontratisi per caso e per volontà rimasti assieme finché morte non li ha separati (letteralmente). È la storia della miglior band americana degli anni 80, un power trio di puri e folli senza alcun limite espressivo che, nel giorno dei morti di ormai trentasette anni fa, pensa bene di incidere in fretta e furia il proprio disco desordio per la (non ancora) leggendaria SST di Greg Ginn. Un disco desordio che dura un quarto dora: il quarto dora di celebrità warholiana, calcolato quasi al millimetro, che, nel caso dei Minutemen, sarà nientemeno che il lasciapassare per la gloria imperitura.
La punch line, in gergo, è la spiazzante stoccata verbale che un rapper affonda nei confronti di un avversario, reale o fittizio. Il coltello di D. Boon gira a lungo in una delle piaghe più dolorose ed umilianti della storia statunitense, la disfatta di Little Bighorn per mano di Lakota, Dakota, Cheyenne ed Arapaho: una caporetto a stelle e strisce dove leroismo da copertina diviene codardia, il valore militare una facciata di comodo. Le storiografie ufficiali si mettano in fila: nessuna gloria arride ai caduti, tanto che per rievocare i versi della title track I believe when they found George A. Custer / An American general, patriot, and Indian-fighter / He died with shit in his pants!. Salomonico D. Boon, salomonici Minutemen. Questioni di prospettive: cera chi si convertiva allultradestra grazie alla spicciola retorica patriottica di John Wayne e chi, invece, su quel cappello da due soldi e su quello che rappresentava ci sputava sopra, rivendicando il proprio militante pacifismo (il tex-mex di No Parade ha ancora parecchio da insegnare: So this is what its all about / Its not John Wayne in a movie / There are no parades for these heroes / And all I can line up are the widows). The Punch Line è unopera radicale, pervasa di politica in ogni sua fibra, che pur tuttavia mai sconfina nella chiacchiera, mai eccede nella concettualizzazione: il fulmineo funk swingato di Song For El Salvador manifesto di supporto allallora clandestino Fronte di Liberazione Nazionale salvadoregno non ha nemmeno bisogno di parole, mentre lo squadrato passo marziale di History Lesson si serve del formato haiku per tratteggiare una vignetta universalistica come pochissime (Human slaughtered / Human slaughtered / Human slaughtered / Human / First with stone / Then with metal / Now with heat / It was all for power) e gli sferragliamenti noise di Disguises contornano un testo-slogan defficacia rara (The distance between black and white / Is much further than I would like / Until now I never noticed / That fascism has many disguises)
La musica, poi. Quando si parla di Minutemen si pensa immediatamente a Double Nickels On The Dime, il che equivale a citare Guernica per Picasso o Guerra e pace per Tolstoj: questione di salienza prototipica, prima ancora che di oggettiva scala di valori. Non che il concetto in sé sia sbagliato, intendiamoci: ma questo è hardcore, oltre le gambe (e i classicissimi) cè di più. Prima della cornucopia delle meraviglie di Nickels, lo scibile di tutto lindie rock a bassa fedeltà di un decennio (per stare stretti), deflagrano già i fuochi dartificio con The Punch Line (e, in misura equivalente, il successivo What Makes A Man Start Fires?, tralasciando per amor di brevità i numerosi EP). Che dura un quarto dora, sì, ma è un quarto dora di pura passione, un tour de force musicale mica da ridere: basti pensare che sul solo riff latineggiante della clamorosa The Struggle (quarantuno, memorabili secondi) ci si potrebbe costruire unintera carriera condizionale superfluo, visto che la cosa è stata naturalmente fatta. I momenti da mandare a memoria, tuttavia, non si conterebbero sulle dita di dieci mani: dal math rock ante litteram di Warfare (i Gang Of Four che incontrano gli spoken word di Gil Scott-Heron) al punk funk in crescendo di Tension, dallo sgraziato hc lo-fi di Games al serratissimo interplay quasi jazzistico di Boiling, dalle disarticolazioni no wave di Ruins (con parlato centrale del batterista George Hurley) al beach punk gitano di Gravity, sino ai due pezzi entrambi di cinquantatré secondi che aprono e chiudono la tracklist (lineguagliabile torcida di Search appaiata ai fraseggi funk di una Static in cui già si sente Viet Nam).
Ogni buona recensione che si rispetti, a questo punto, dovrebbe concludersi con lo struggente e spassionato ricordo della giovane vita spezzata di D. Boon: il che, se ci si pensa, è molto convenzionale, lontanissimo dallo spirito dei Minutemen. I grandi cambiamenti partono anche e soprattutto dai piccolissimi gesti. Oggi, mettete sul piatto The Punch Line e fate sentire che quel quarto dora non è stato investito invano.
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