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R Recensione

6,5/10

Mitski

Bury Me At Makeout Creek

Se Mitski Miyawaki, 25 anni, da Brooklyn, decide di dare al suo terzo disco un titolo preso da una frase di Milhouse, già intuiamo cosa possiamo trovare nella sua musica: ironica ma profonda disillusione nerd, anzitutto, in una salsa alt rock che un po’ odora di anni ’90, un po’ di quella bassa fedeltà spastica che dettava legge una decina di anni fa.

Dove Mitski estrae melodie power pop imperiose su chitarre distorte fino allo spasmo, è vera gloria: dall’intro su arpeggi grezzi e crescendo pieno di fuzz di “Texas Reznikoff” alla party song con sviluppo suicida di “Townie” («I want a love that falls as fast as a body from the balcony»), passando per la maggiore introversione emo di “First Love / Late Spring”, su cui incide l’organo, mentre Mitski infila pure un paio di versi in giapponese, “Bury Me At Makeout Creek” sfoggia una freschezza che Dum Dum Girls, Vivian Girls e compagnia avevano sfiorato ai bei tempi ma senza l’aura di loser di cui Mitski si ammanta. E senza, soprattutto, la voce sicura e ben più da folk singer che da punkster della giappo-statunitense.

Altrove lo scazzo del perdente (un po’ primi Titus Andronicus) si incarna in schegge più ruvide (“Drunk Walk Home”) e un po’ vuote (“Jobless Monday”), perché è dove è ben sfoggiato il piglio pop che Mitski dà il meglio di sé – vd. una “Francis Forever” che poteva benissimo fare da colonna sonora alla Frances Ha di Baumbach («I don't need the world to see that I've been the best I can be») o i ¾ di “Last Words of a Shooting Star”, che raccontano gli ultimi pensieri di una donna sopra un aereo che sta per schiantarsi al suolo dopo una turbolenza («I am relieved that I'd left my room tidy»).

Non tutto è a fuoco, ma si intuisce un potenziale notevole. Da seguire.

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