R Recensione

9/10

Noir Desir

Tostaky

Difficilmente la Francia partorirà un altro gruppo rock di tale livello. Ciò che fa avere ai Noir Desir quella marcia in più che altri gruppi spesso non hanno è il “sentire le cose”. Mai stati emotivamente passivi o concentrati esclusivamente su un presunto elemento tecnico o sonico. L’urgenza è sempre stata altra, l’urgenza è sempre stata quella di sputare fuori un po’ di fuoco, il fuoco puro e incontrollabile, un fuoco che non tutti hanno. E dispiace per molti altri gruppi ma questa è la realtà.

 

Tostaky  risulta essere la loro quarta opera e nella considerazione complessiva della loro discografia probabilmente la migliore, certamente la più “rock”. Va sottolineato come il rock nero dei Noir Desir mantiene tutto sommato un piglio e una struttura classica priva di eccessivi sperimentalismi o coscienti pretenziosità intellettuali. Una struttura quindi fondamentalmente formale ma allo stesso tempo originale nella sua proposta, un rock “diverso” altamente emotivo caratterizzato da un approccio violento, distorto, disperato ed esistenzialmente poetico con accenni vagamente psichedelici comunque più nella sostanza che nella forma.

 

Here It Comes Slowly  apre questa danza orgiastica attraverso un impeto di rabbia, disgusto e furore primordiale. Il brano incalza progressivamente, trascinante tutto e tutti dentro un vortice infernale dove le fiamme aspettano e divampano alte, dove il troppo non è mai abbastanza e si vuole sempre di più. Il capolavoro dell’album è proprio Tostaky (le continent), caratterizzata da un giro di chitarra ossessivo e diabolico che porta nel bel mezzo di autostrade in costruzione e diagonali perdute, dove delle donne senza viso appaiono disinvolte ma non hanno l’aria di niente. Si, sono disinvolte ma non hanno l’aria di niente. E si aspetta per un nuovo sole e per dei nuovi raggi che possano portare un po’ di luce.

 

Alice irrompe in maniera altrettanto distorta e vagamente allucinata proponendo un'estasi perdente e arrendevole, aggressiva e dolce nella terra bruciata, mentre Ici Paris continua a vomitare incessantemente la sua disillusione quasi volesse arrivare a toccare il punto dell’esistenza definitivo, quello oltre il quale non ci può essere più nulla, un nulla al quale non ci si rassegna. Oubliè, così come Sober Song, presenta una cadenza lenta, ipnotica e a tratti teatrale mutuata dai migliori drammaturghi della storia del rock, in primis Jim Morrison, un teatro di interpretazione paradossalmente reale dove non c’è spazio per la finzione o gesti pseudo drammatici. It spurts è ancora un rock abrasivo, crudo, disperato che sfida il superamento della propria condizione come se volesse riempire un vuoto però incolmabile, come una fossa che più viene ricoperta di terra e più si svuota.

 

Gli altri brano che compongono questo piccolo capolavoro, da Johnny Colère a One trip/one noise, da Marlene a Lolita Nie En Bloc risultano essere tutti significativi e rappresentativi di  una poetica che in fondo può essere davvero completamente riassunta nel nome stesso del gruppo: Desiderio Nero.

 

V Voti

Voto degli utenti: 9/10 in media su 3 voti.
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zagor 8,5/10

C Commenti

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zagor (ha votato 8,5 questo disco) alle 14:10 del 24 febbraio 2014 ha scritto:

splendido, "ici paris" inno trascinante, "oubliè" e i ritratti femminili sono tra le cose migliori in assoluto del rock transalpino. notevole anche il successivo "666..." allez!