WU LYF
Go Tell Fire to the Mountain
Dice: “di questo disco bisognerà parlarne, prima o poi”. Perché? Perché ne parlano tutti, perché Pitchfork gli ha dato 8,4, perché un tizio della BBC ha detto che “Dirt” è “la canzone più hot del mondo”, perché oltremanica tutti parlano di “next big thing”. Come dite? Oltremanica gridano al miracolo tutte le settimane? Può darsi, ma sappiate che anche da noi non si scherza: Rolling Stone Italia, ad esempio, li segnala come “la cult band inglese dell’anno”, mentre Vogue Italia (urca!) li ha definiti “rivelazione hot dell’anno”.
Roba hot, roba cult, roba cool, capito? Allora dobbiamo parlarne sì: perchè? Perché ci piace il loro nome (si pronuncia “Woo Life”, ma è l’acronimo “World Unite Lucifer Youth Foundation”), perché ci piaceva ancora di più il loro nome precedente (WU LYF è bello, ma volete mettere Vagina Wolf?), perché ci piace la loro scelta di non ricorrere ad alcun tipo promozione (a parte quello di diffondere la notizia che non ricorreranno ad alcun tipo di promozione) e perché – udite, udite – il loro “Go Tell Fire To The Mountain” è effettivamente uno dei migliori debutti di questo 2011.
Sebbene siano stati usati (a sproposito) termini come “post-punk”, “wave” e altre sciocchezze, la caratteristica principale (e probabilmente il merito) di questa rivelazione “made in Manchester” è quella di riuscire a “svecchiare” i canoni del post-rock strumentale (dai Mogwai fino alle pallide reiterazioni degli Explosions in the Sky o dei post-manieristi sfornati dalla Constellation Records), inserendo tra quelle spire chitarristiche e quegli schemi ritmici il dinamismo di certo “indie-rock” americano (c’è tanto Isaac Brock nella disperazione “emo” della voce solista) e canadese (lo spirito di Spencer Krug è un po’ dappertutto). In questo modo all’anarchia anagrafica (si conosce poco dei musicisti coinvolti) si somma una certa anarchia geografica: il Canada indie rock, i college americani dei Modest Mouse e il post-rock d’oltreoceano, tutto trapiantato a Manchester.
Fin dall’iniziale “L Y F”, i suddetti elementi sono miscelati con sapienza e soprattutto con la giusta predilezione per l’inventiva in luogo della calligrafia. Le progressioni post ottengono dagli inserti vocali pause e dinamismi insperati (“Cave Song”, “We Bros”), e sebbene a volte emergano rimandi alle istanze più moderne del pop tracciate da Klaxons e MGMT (“Concrete Gold”, “Summas Bliss”), o alla furia di certi Pogues via Titus Andronicus (“Spitting Blood”), la cifra stilistica dei WU LYF è tutta contenuta nella loro personale sintesi post/indie rock, nonchè in alcuni pezzi che giustificano – una volta tanto – gli entusiasmi inglesi: “Dirt” è effettivamente un pezzo esplosivo, costruito su una tensione ritmico-melodica entusiasmante, e “Heavy Pop” non è da meno, “pop pesante” perché arricchito dalla lezione rock a cavallo tra gli anni '90 e gli anni ’00.
Heavy Pop save the queen?
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