R Recensione

7/10

Lambchop

OH (ohio)

La fate facile, voialtri. Dice: “Dai, scrivi qualcosa sull’ultimo Lambchop”.

Ma mica è una cosa che si può fare così – rispondo io. Come si ascolta un disco dei Lambchop? Voglio dire, non è che puoi metterlo in macchina mentre vai a lavorare. Hai presente che casino fa una Punto 1300 Diesel? Non si può. I Lambchop si ascoltano con calma, attenzione e profondo silenzio. Ma io non ho tempo. Io vivo in una grande città, alle sette e mezza sono già in mezzo al traffico, con i neuroni ancora intorpiditi dalla notte e già bombardati dal rumore dei tram in frenata (ma fischiano sempre quei freni? E non si può fare niente? Neanche se li mandiamo alla Nasa?) e da quello dei deficienti che si attaccano al clacson manco avessero a bordo il Papa in fin di vita.

Allora facciamo così: vi dirò quello che posso. Quello che i miei sensi riescono ancora a percepire dopo trent’anni di immersione totale nel caos, nella frenesia e nella puzza tipiche delle grandi città.

Voi, se siete più fortunati di me, prendetevi un po’ di tempo, andate in un ranch a Nashville, Tennesse (chi non ne possiede almeno uno...), fate ardere della legna nel camino, versatevi due dita di whisky, accendete un sigaro e ascoltate questo disco. E mi raccomando, fatemi sapere le vostre impressioni.

(Oh) Ohio” è l’undicesimo album del collettivo riunito attorno all’estro creativo di Kurt Wagner. Già dal titolo (a proposito, caro Sufjan Stevens, se non ti dai una mossa…) si evince una caratteristica saliente del contenuto dell’album: l’America. Quella immensa e rurale, fatta di pochi quanto profondamente marcati elementi.

La produzione delle undici tracce è stata affidata a due produttori diversi: il primo è Mark Nevers, storico collaboratore dei Lambchop fin dai tempi di “Nixon” (2000); il secondo è Roger Moutenot, affermato in ambito indie per i suoi lavori con Yo La Tengo e Sleater-Kinney. I due produttori hanno lavorato in sedi separate, poi hanno sottoposto i rispettivi risultati a Wagner, il quale ha selezionato le tracce che oggi ritroviamo sull’album.

Il risultato è la naturale evoluzione di quel suono country avvolto tra spesse coperte soul che stupì nel 2000 (“Nixon”), mediato con gli accenni easy di “Aw C’mo / No you C’mon” (2004) e le armonie cantautoriali di “How I quit smoking” (1996). La differenza la fanno gli arrangiamenti e la produzione che danno forza e profondità ai bassi corposi e vibranti di “Ohio”, alla quiete corale di “Slipped, dissolved and loosed”, al country polveroso di “National talk like a pirate day”, al soul a lume di candela di “A hold of you”, e all’up-tempo di “Sharing a Gibson with Martin Luther King Jr.” (titolo dell’anno, almeno).

L’intera opera trasmette un senso di compiutezza, rotondità e maturità che la band di Wagner non aveva mai espresso con tanta sicurezza e naturalezza. “Oh (Ohio)” è un album che sprigiona calore da ogni solco (“Of Raymond”) nutrendosi di classicità country (“Close up”), soul bianco (“Popeye”) e di quel bene prezioso che abbiamo stupidamente (s)venduto.

Il tempo.

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.
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REBBY 7/10
george 8/10

C Commenti

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Alessandro Pascale alle 0:23 del 15 dicembre 2008 ha scritto:

solito incipit che definire intrigante è dir poco. Che prosa fresca che hai fabio, se avessi le tette penso che proverei a rimorchiarti

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 1:31 del 15 dicembre 2008 ha scritto:

L'ho ascoltato un paio di volte stravaccato sul divano e mi è sembrato meritevole di approfondimenti futuri. Per ora Of Raymond è

quella che mi intriga di più.

PS Il re censore non lo rimorchierei neanche se

ne avesse tre di tette, ma indubbiamente sa scrivere!

george (ha votato 8 questo disco) alle 15:52 del 21 dicembre 2008 ha scritto:

...è vero

george (ha votato 8 questo disco) alle 15:56 del 21 dicembre 2008 ha scritto:

...

...mi sono preso del tempo e l'ho ascoltato bene! Non ho il camino, ho bevuto una birra e ho due casse di merda...ma è un bell'album! ciao a tutti!