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R Recensione

5,5/10

Droning Maud

Our Secret Code

Prodotto da Amaury Cambuzat degli Ulan Bator, “Our Secret Code” è il primo lavoro di lungo minutaggio dei laziali (nel senso della regione) Droning Maud.

Siamo in quella porzione dell’alternative rock fatta di atmosfere malinconiche, arpeggi di chitarre alla Mogwai e inserti elettronici di matrice radioheadiana di cui l’iniziale "Sun Jar" è il migliore esempio (e la canzone più riuscita dell’album), che suona come una Agaetis Byrjun radio edit.

Il dichiarato uso di elettronica è in realtà relegato ad orpello nella maggior parte del disco, soprattutto in apertura e in chiusura delle canzoni, come in "Kill The Skyscraper" il cui intro è molto simile a quello di "Cieli Neri" dei Bluvertigo. Elettronica ben usata in "Nimbus", con la sua base ossessiva di pianoforte (siamo quasi in zona indietronica Four Tet) e nell’orientaleggiante “Now it Fades, Now it’s gone”.

Vengono in mente un po’ i primi Elbow, più muscolari e meno complessi, negli episodi più atmosferici, a mio avviso i migliori. Bene le conclusive “The Great Divide”, guidata da una vivace batteria, e “Oh Lord!” dall’atmosfera sognante.

Laddove invece si spinge di più sulle chitarre si avverte un retro gusto post-grunge che stona. Difetto a cui contribuisce il modo in cui sono impostate la voce e i cori, che fra i vari pezzi si somigliano un po’ troppo, e ciò pesa sull’ascolto.

L’impressione è che i Droning Maud debbano ancora trovare la loro strada: malgrado le buone idee, non tutte le canzoni decollano o giustificano la lenta sovrapposizione strumentale con cui vengono costruite, in maniera anche un po’ ripetitiva. Colpa forse di un tentato compromesso fra melodia e composizione strumentale.

Da quanto c’è di buono si può costruire qualcos’altro, i riferimenti non mancano.

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