Muse
Showbiz
Estate 2011.
Dei Muse sappiamo tutto. Cinque dischi pubblicati. Tredici milioni di album venduti. La fama mondiale, show trascinanti e trasudanti rock ed energia brada. Un talento universalmente riconosciuto e un carisma tale da renderne il sound trasversale e distinguibile dal primo ascolto. Ma prima del gruppo che oggi che conosciamo ci sono stati i Carnage Mayhem, i Gothic Plague, i Rocket Baby Dolls. Poi finalmente (e definitivamente) ecco i Muse.
Facciamo un passo indietro.
Contea di Devon, Cornovaglia, sud-ovest dell’Inghilterra. I giovani Matthew Bellamy e Dominic Howard conoscono il bassista Cristopher Wolstenholme fondendo le rispettive band nel nucleo primordiale dei futuri Muse. Siamo a metà degli anni ’90 ma la formazione resterà invariata. Non è difficile intuire l’origine dell’affiatamento palesato dal gruppo, soprattutto on stage. I primi show e concorsi generano un crescente interesse verso la nuova band, ma tale attenzione non sfocia in passione, almeno non per i discografici britannici (o non subito) che ne considerano il sound troppo particolare e reputano la timbrica di Bellamy eccessivamente acuta. Dall’altra parte dell’oceano però, sponda Stati Uniti, qualcuno dimostrò il dovuto interesse puntando forte su di loro (sempre sia lodato). Il resto è storia.
Autunno 1999.
Dopo qualche Ep e numerosi concerti, nel settembre del 2009 esce negli Stati Uniti "Showbiz", album d’esordio dei Muse, che vedrà la luce il mese successivo anche nel resto del mondo. Aiutato dalla sapiente mano di John Leckie (già produttore di "The Bends", secondo disco dei Radiohead), coadiuvato da Paul Reeve, l’opera prima del trio inglese raccoglie da subito convinti consensi e lancia i Muse verso la celebrità. Il sound della band appare immediatamente personale e ben identificato. I suoni, moderni ma precisi e cristallini, evidenziano una tecnica individuale invidiabile, mai fine a se stessa e sempre al servizio di una creatività esplosiva. Tutte le musiche e liriche sono composte dal cantante-chitarrista Bellamy, anima della band, ma l’apporto della sezione ritmica (riduttivo definirla in tal modo) è fondamentale, laddove il meraviglioso e deciso tocco di Dominic coadiuva con efficacia la granitica prestazione di Cristopher al basso. Tre musicisti che si dimostrano meravigliosi solisti, ma che unendo le rispettive sensibilità artistiche danno vita ad una sinfonia perfettamente corale e coesa. Dopo la tecnica il secondo aspetto a colpire è il carattere della band, una personalità evidenziata dalla perfetta amalgama con la quale vengono fuse le influenze del trio: rock alternativo, neo progressive. Definire la proposta dei Muse è difficile. E non necessario. La componente sinfonica è preponderante e alla base di chitarra-basso-batteria si unisce con insistenza un meraviglioso ricorso al pianoforte, deliziosamente suonato dal funambolico Metthew.
Il sound di "Showbiz" opprime ed esalta al tempo stesso, oscuro, epico e distorto, come già evidente dall’efficace artwork confezionato da Tanya Andrew e dallo stesso Bellamy. I primi secondi del disco sono affidati ad un delizioso tappeto di pianoforte che fa da apripista alla meravigliosa "Sunburn", ancora oggi una delle loro migliori composizioni e perfetto manifesto dello stile del gruppo. “She Burns Like The Sun” urla Bellamy. La seguente "Muscle Museum" abbassa i ritmi ma non la qualità, esaltata da un vigoroso giro di basso che cede il passo ad un ritornello epico ed esplosivo. Fillip non abbassa il tiro, più vivace ma non meno convincente, laddove i suoni si fanno più compatti e distorti, il refrain è ancora travolgente e la voce di Bellamy tocca vette acutissime. Quando la storia di un gruppo inizia con un trittico di tale qualità è ben facile intuirne un lieto proseguimento di carriera. Il resto dell’album scorre eterogeneo e risoluto, tra splendidi lenti atmosferici ("Falling Down", "Unintended", "Escape", "Hate This & I’ll love You") e incantevoli cavalcate adrenaliniche ("Cave", "Uno", "Overdue"). L’alternanza tra velocità e potenza, atmosfera e distensione, è caratteristica fondamentale dell’album e dell’intera carriera dei Muse. Completano il disco l’energica "Sober", canzone dall’incedere metallico pur con il già inconfondibile piglio della band, e il capolavoro "Showbiz", traccia che indossa con onore e classe i gradi di titletrack, con il suo crescendo epico ed onirico che premia la verve di Bellamy la quale, pur accompagnata da un delicato e prezioso ausilio strumentale, esalta quasi in assolo una melodia spaziale incredibilmente evocativa.
Lo straordinario talento vocale di Bellamy, capace di sfiorare tonalità eccezionali con le sue urla strazianti ma anche di emozionare e commuovere quando vibra su toni più bassi, il trascinante e spregiudicato drumming di Howard con le sue micidiali raffiche di colpi e la sua gelida precisione, e la potenza del basso distorto di Wolstenholme, spesso chiamato al ruolo di protagonista con riff adrenalinici, rendono il sound dei Muse unico e sofisticato, raffinato e detonante. "Showbiz" è un disco sorprendente, esordio memorabile di una band che non ha paragoni nel panorama attuale (i richiami ai Radiohead appaiono onestamente molto tirati) né passato. Pur avendo generato nel proseguo della loro carriera album di assoluto valore come "Origin of Simmetry" (forse il loro vero capolavoro) o incredibili successi commerciali come "Absolution" e "The Resistence", l’appeal di "Showbiz" resta e resterà unico, per quella sua spontanea sfrontatezza o per quel suo sound così etereo e sfuggente. L’esordio dei Muse venderà un milione di copie in tutto il mondo scrivendo un importante pezzo di storia della musica rock alternativa moderna. “She Burns Like The Sun”, a distanza di oltre dieci anni sono versi che ancora fanno sognare.
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