Primus
Sailing The Seas Of Cheese
“I Primus fanno schifo.” (Primus, 1989)
Tutti hanno una seconda possibilità, tranne Fredo Corleone e gli allenatori del Palermo. ”Life goes on”, anche dopo un’audizione con i Metallica. L’opzione scelta dal virtuoso bassista californiano Les Claypool fu il folle progetto di un trio alt-funk, catalogabile nella scena thrash della Bay Area anni Ottanta più o meno come una Multipla nei listini Fiat. Un caso estremo di “sliding doors”, ragazzi, e con tutto il rispetto per il povero Cliff Burton sarebbe stato uno spreco enorme. I Primus nascono nel 1984 a El Sobrante (California), quando Claypool, il chitarrista Todd Huth e una drum-machine poi sostituita dall’umano Jay Lane si facevano le ossa e una solida reputazione di originale live-act band (chiamati, sic, “Primate”) nei tour dei metallari Exodus e Testament. Nell’89 al posto di Huth e Jay subentrano i due fuoriclasse Larry LaLonde (chitarra, allievo di Satriani) e Tim “Herb” Alexander (batteria): è la line-up del vigoroso “Frizzle Fry” (1990), pubblicato dall’autarchica label “Prawn Song” (i paraculi sfottevano la zeppeliniana “Swan Song”) e che riprendeva molti brani apparsi l’anno precedente sull’ep dal vivo “Suck On This”. La miscela ingorda del mostro Primus fonde sarcasmo alla Monty Python su demenziali storielle nella provincia americana a un bislacco crossover “Red Hot Chili Peppers meets Frank Zappa” di funk, blues, metal, jazz-rock, country, psichedelia e colonne sonore, dove regna anarchico il basso slappato e ciclopico del capo-banda. Chiamatela, se volete, “psychedelic-polka” (Claypool dixit).
“…Jerry was a race car driver, twentytwo years old…Had too many cold beers one night, and wrapped himself around a telephone pole.”
Mentre il fenomeno “grunge” e l’alternative-rock U.S.A. si preparavano a prendere il proscenio delle classifiche e dei media, la bizzarra maionese impazzita di Les & co. riuscì a destare l’interesse dell’etichetta Interscope (orbita Universal): “Sailing The Seas Of Cheese”, con la sua copertina gialla e i pupazzi in plastilina dell’artista Mitch Romanowski, mollerà spavaldo gli ormeggi del nuovo contratto nel maggio ’91. È una sorta di concept stralunato e pittoresco, inciso durante veloci sessions al Fantasy D Studio a Berkeley, in cui Claypool narra con vocina stridula da Looney Tunes e le sei corde del suo basso fretless di avventurose cronache pescherecce e perdenti di professione. Situazioni al limite dell’assurdo che i tre mattacchioni descrivono con un’abilità tecnica da leccarsi i baffi e autentico savoir-faire fancazzista. Ci si perde in questo strambo meltin’ pot sonoro, tra i rumori dell’equipaggio di una nave in mare nell’intro “Seas Of Cheese”, vera fissazione del titolare, il ritmo sincopato della marcetta schizoide “Here Come The Bastards”, controtempi martellanti (la frenetica “Sgt.Baker”) e un David Thomas che balla la mazurka dopo l’elettroshock (“Eleven”).
“…Bob is an unemployed veteran born and bred in the South Bronx. He's living off the streets down in east L.A. Residing in a cardboard box, now he plays a little quit and he has a small dog. Searching for aluminum cans, and he hold on tight to his dignity…He was born into American Life.”
Il funambolo Les suona ripetute note timbriche che portano l’idolo Larry Graham dentro un istituto d’igiene mentale, un ritmico tappeto percussivo di finger-tapping e slap su cui un LaLonde ostaggio nella cantina di Mos Eisley catapulta frippiani assolo deviati, vedi l’amaro quadretto sociale “American Life” e i saliscendi quasi fusion di “Tommy The Cat” (special-guest gracchiante l’amico Tom Waits). Indimenticabile la tragicomica “Jerry Was A Race Car Driver”, storia di un giovane pilota automobilistico e un maturo pompiere uniti dal destino beffardo di “troppe birre ghiacciate in una sola notte”, con il leader a sgommare e accelerare dalla tastiera dell’inseparabile basso Carl Thompson come in un campionato Nascar. E grandioso il lavoro di Alexander dietro le pelli, un metronomo instancabile e creativo nei ritmi spezzati della corsa sfrenata di “Is It Luck” e nelle ripartenze della vorticosa “Those Damned Blue-Collar Tweekers” (anticipata dallo psicotico strumentale con banjo “Sathington Waltz”).
“…There's a foot at the end of each of my legs…Is it luck? I can play my bass for you, is it luck? Some gals like to kiss my face, is it luck? Is it luck?”
“Los Bastardos” chiudono in bellezza i tre quarti d’ora della summa del pensiero claypooliano con la ripresa garagecazzona di “Here Come The Bastards” e l’amata epopea da pescatore provetto della mini-suite “Fish On (Fisherman Chronicles, Chapter II)”, iniziata con “John The Fisherman” su “Frizzle Fry”: otto minuti di sandwich salati al tonno, taco al gusto di Doritos e pesci lunghi sei piedi tra la baia di San Pablo e Laguna Bohuas. Dal buen retiro del Rancho Relaxo la saga Primus proseguirà con altri notevoli picchi (il grottesco american gothic di “Pork Soda”, il bestseller “Tales From The Punchbowl” e la filastrocca magnificamente molesta di “South Park”), ma intanto navigare nei mari di formaggio era già un eccellente antipasto.
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