Soul Asylum
Grave Dancers Union
Dave Pirner dà l'impressione di non soffrire alcun complesso di inferiorità, e la cosa un po' sorprende.
Mettetevi nei suoi panni: a inizio anni '80 sei un adolescente, ami il rock alternativo, sei capace di inventare pezzi e progressioni melodiche da cuore in gola. Ma vivi a Minneapolis: i tuoi colleghi/ le tue pietre di paragone si chiamano Robert Mould e Paul Westeberg.
Hanno qualche anno in più di te e, anche se non lo sanno, stanno per riscrivere la storia del rock americano, portando la sensibilità dei cantautori autoriflessivi dentro il marasma dell'hardore-punk, fino a coniare una nuova forma di ballata ad alto tasso emotivo, che possiamo etichettare come pop-core (Husker Du) o anche come hard-folk (Replacements).
Pirner evidentemente se ne è davvero sbattuto di cotanta concorrenza: ha formalizzato in modi del tutto personali la fusione di potenza grezza (gli ultimi lasciti dell'hardcore punk), melodia e confessioni amare.
Negli anni '80 i suoi Soul Asylum, che beneficiano anche del contributo sostanzioso del chitarrista Dan Murphy (uscito dal gruppo solo nel 2012), sembrano per la verità un po' la versione minore degli inarrivabili colleghi e amici (la scena alternativa di Minneapolis, in tal senso, ha creato forti legami personali): spavaldi e ribollenti, ma meno hard e pure meno core degli Husker Du; abilissimi confezionatori di ballate tutte cuore in mano e arguti giochi di parole, ma meno epocali e cosmici dei Mats.
Gli anni '90, anche per l'uscita di scena dei concorrenti", gli portano in dote un discreto successo di pubblico, sulla scia del grunge e della splendida/ruffiana Runaway Train, uno dei pezzi migliori usciti dalla penna di Dave, capace di fare breccia nel cuore del pubblico anche per il toccante/ruffiano video.
Forse è giunto il momento di rivalutarli: i Soul Asylum sono meno leggendari degli ingombranti amiconi, ma restano un gruppo di alto profilo. Anche altissimo, nei momenti migliori.
Per un semplice motivo: la capacità di inanellare melodie memorabili, spesso furenti come quelle di Mould, e più spesso toccanti e venate di un tragico lirismo come quelle di Westerberg.
La produzione non sempre all'altezza probabilmente li ha un po' penalizzati: Pirner è autore portentoso, che evoca la maniera di Paul anche per il suo romanticismo affranto, le deliranti scariche di adrenalina che più che rabbiose suonano come pura catarsi dei lividi nascosti nell'anima. Pirner incarna la sensibilità da loser di provincia, e quindi incarna lo spirito più autentico del rock americano del midwest, mettendo la propria esperienza di vita dentro i suoi brani.
Arriviamo al dunque: nonostante sia da molti ritenuto un lavoro troppo soft, quello che prova a tirare un filo fra le ambizioni espressive del rock alternativo, il pop e il mondo radio friendly popolato da Bon Jovi, Guns'n'Roses & C, Grave Dancers Union - pubblicato in piena tempsta grunge, sesto lavoro di studio della loro carriera - rimane un'opera quasi inattaccabile, per il sottoscritto.
Il motivo è sempre quello: Pirner, piaccia o meno, è autore dotatissimo, che veleggia sulle ali di un'ispirazione senza cedimenti, specie nelle ballati più dolci.
L'adrenalina non manca: Somebody to Shove evoca il gusto agrodolce di una Stranger, e cristalizza l'abilità di Pirner nel confezionare ballate accelerate a tempo rock, ma soprattutto le sue doti vocali uniche, caratterizzate da un andamento tremante, forti di un anelito adolescenziale irrisolto, disperatamente romantico. Ma anche grintoso: la voce di Pirner è davvero il valore aggiunto, e questo vale quasi per ogni pezzo dei Soul Asylum.
Se 99%, altro brano più aggressivo, è forse l'unico vero passo falso del disco, e se Keep it Up - nonostante suoni a tratti davvero troppo easy-listening si nobilita grazie a un ritornello memorable, le ballate riscattano tutto.
La celeberrima Runaway Train, al di là di certi ammiccamenti, vola sulle ali di una melodia impeccabile, disegnata questa volta in modo certosino e pulitissimo. Il fulcro del discorso rimane sempre lo stesso: le relazioni personali in frantumi, l'oscillazione fra agorafobia e solitudine, il desiderio impellente di lasciarsi tutto alle spalle. Pirner è un adulto su spalle giovani, e quindi riesce come nessuno a mettere a nudo sé stesso, la dimensione conflittuale del proprio vissuto sociale. I pieni e vuoti di Black Gold, altra ballata quasi soft-grunge, sono uno fra i tanti momenti imperdibili, così come la nostalgia sfacciata di Homesick, impreziosita da uno stop-and-go fra i più azzeccati della carriera.
Il problema di fondo rimane sempre quello: la difficoltà di trovare il proprio ruolo nel mondo (I'm so homesick/ But It ain't that bad/ 'Cause i'm homesick for the home i never had), come confermano anche l'hard-folk (a tratti corale) davvero replacementisano di Get On Out (una sorta di preghiera rivolta ai propri pensieri: uscite dalla mia testa!), o la splendida Without a Trace, ennesima confessione frustrata di un cuore in perenne allarme; ennesima perla che consacra il conflitto interiore dell'autore, il suo marasma mentale (la voglia di scappare, credo, indica sempre che vuoi scappare da te stesso: e odio citare Ligabue, ma dico che Da te stesso non scappi neanche se sei Eddie Merck).
Il momento più tenero in assoluto lo relaga, in ogni caso, la conclusiva The Sun Maid, ballata che sembra uscita dalla penna di un Neil Young particolarmente mieloso, invaghitosi degli arrangiamenti dell'r'n'b.
La nervosa energia grezza dei lavori precedenti, in sostanza, è quasi completamente sepolta: ciononostante, Pirner con Grave Dancers Union riesce a confezionare senza fatica ballate memorabili in serie, che ammorbidiscono le asperità della scuola di Minneapolis verso una forma più confezionale, senza però perdere nulla in termini di impatto emotivo.
Tweet