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R Recensione

8/10

The Replacements

Hootenanny

La critica rock – specie se americanofila - è ossessionata dall'autenticità. Per qualche motivo, ci/mi piace pensare che i musicisti mettano una parte di sé stessi, nella musica, così come noi mettiamo una parte di noi stessi nella passione per la musica. Io non sono un integralista ma ammetto di riconoscermi – almeno in parte – in questo approccio autenticista. E ingenuo. Accade infatti spesso che i musicisti ti prendano per i fondelli: per dire, siamo sicuri che Robert Zimmermann, quando predicava ai Signori della Guerra, fosse totalmente “sincero”? Visto quanto ha combinato dopo, ovvero tutto e il contrario di tutto, ivi inclusi interi lati di canzoni old-country dedicate al cristianesimo più reazionario?

Lascio sospeso l’interrogativo, e vengo al dunque: Westerberg mette a tacere ogni dubbio perché, con ogni probabilità, è la sincerità fatta musica rock.

Anche se con il tempo ho imparato che la cosa più importante è che si tratta del più grande cantautore indie della sua epoca, rimane che lui è sin troppo “vero”, tanto da ammettere che, alcuni fra i suoi pezzi più personali, lo fanno rabbrividire. Forse ha paura di ciò che potrebbero rivelarci su di lui, e comprensibilmente si nasconde dietro l’imbarazzo.

Succede anche a me, nel mio piccolissimo: quando amici e lettori scorrono i miei pseudo-versi l’ansia si impadronisce di me. Mi stanno studiando, stanno muovendo alcuni passi nel cuore e nell’anima, e allora chi ha più il coraggio di fingere?

Ok, la smetto di annegarmi fra i dubbi para-esistenzialisti e inizio a parlare di “Hootenanny”, mi sembra la cosa più saggia. I primi lavori dei Mats erano rock’n’roll messo a tempo hardcore, ma Paul e la sua combriccola di beoni non si erano mai riconosciuti nell’integralismo della scena: erano troppo anarchici, troppo liberi, troppo intelligenti e forse troppo coglioni per seguire la strada che invece, per dire, i Fugazi percorreranno a mille all’ora.

Bob Stinson era un rocker vero, capace di interpretare alla luce degli interrogativi irrisolti degli anni ’80- la Terra desolata dell’America Giovane - l’edonismo rivoluzionario di Chuck Berry. Ma Paul non mi ha mai fregato: amava Hank Williams, Neil Young, i Beatles e Alex Chilton, si atteggiava a duro ma sotto sotto era un cantatuore tormentato, innamorato perso dei paesaggi desolati del country, del lirismo della musica folk. Forse la sua ambizione più grande era scrivere grandi canzoni pop.

“Hootenanny” è il primo disco a mettere le carte in tavola, a rivelarci i Mats per quello che sono: fondamentalmente, trad-rockers che scrivono pezzi con tutti i crismi, irrobustendoli con un’attitudine punk che dona l’arroganza giusta per staccarsi dall’orda di epigoni innamorati del passato. L’attitudine li rende quanto di più moderno, anzi li proietta nel futuro, ma i piedi restano intrappolati nella palude del passato. Passato che diventa improvvisamente raggiante e bello.

Il “raduno folk” mostra per la prima volta un Westerberg sorprendentemente riflessivo e incline all’introspezione. Paul ha viaggiato sull’highway della gioventù, è la somma di fantasmi, ferite, ricordi insopportabili, occasioni perdute. Per questo riesce a leggere così bene l’animo dei suoi contemporanei, a rivelarsi un autore a tutto tondo, e non solo un cantante fuori dal comune (io dico che ha forse la voce rock più bella di sempre, come lui nessuno mai).

Stinson, l’altro leader della band, nel frattempo infonde nei suoi assolo tutto sommato semplici una tale poesia che gente come Van Morrison o Leonard Cohen dovrebbe esserne fiera.

Non tutto gira a meraviglia, ma “Hootenanny” rimane una folgorazione, una rivelazione per tutti gli appassionati di rock alternativo. Profuma di America di Provincia e di Gioventù, assembla sentimenti contrastanti: è college-rock deviato e profondamente radicato nell’humus culturale e spirituale dell’epoca in cui la musica alternativa era fulgida, viva, la soluzione imminente.

L’album vanta diversi momenti seminali, per i Mats e per tutto il rock alternativo che verrà (ne sono i padri senza timore di smentite). La prima traccia, scalcagnata e ironica al punto giusto, lascia che il disco prenda corpo piano piano. L’hardcore, in ogni caso, è morto e sepolto: questo è puro folk uscito da qualche radura dei Monti Appalachi, solo molto informale.

Color Me Impressed” è una melodia appiccicosa e furba, quasi un pezzo emo-core ante-litteram, solo più gioioso. Paul indossa subito le vesti del guastatore: i party sono filosofia di vita, ma nascondono un lato oscuro e insondabile, solo i più sensibili sanno coglierlo. Quindi, diamoci dentro con i baci alla francese, finché siamo in tempo.

Willpower” è notoriamente un pezzo new wave (qui non esiste più nulla di hardcore), un anti-inno allo scazzo e al sollazzo: la forza di volontà mi ha cambiato, fermatela!

Le magniloquenti tastiere e il ritornello granitico sono il preludio a uno fra i più grandi pezzi mai incisi da Westeberg, per l’occasione multi-strumentista: “Within Your Reach” è una confessione che sa spezzarti il cuore, una rincorsa colorata di speranza, a perdifiato verso l’amore impossibile. Posso vivere senza toccarti, senza mai vedere mare né montagne: ma non posso vivere senza seguirti, senza cercarti.

A proposito di autenticità: Paul ammette di non riuscire mai a gustarsi questo pezzo, evidentemente nel centro del suo cervello sanguina ancora una ferita che non si è rimarginata. La drum-machine e le tastiere elettroniche rendono la ballata un unicum nel repertorio dei rockers, il ritornello carica la tensione come una molla e poi la libera.

I numeri rauchi e ringhianti di “Run it” e “You Lose”, che sembrano registrate in una cantina in disuso eppure sono una scarica di adrenalina (gli ultimi frammenti di punk vero e proprio), preludono alla splendida “Treatment bound”, un folk sconnesso di cui potrebbero essere fieri di Violent Femmes, che sembra mixato malissimo e quindi è morbosamente bello.

Arriviamo in un posto, ci devastiamo di alcool, e poi proviamo a fare ciò che ci riesce meglio: correre verso il nulla. E i nostri cosiddetti amici possono solo annusarci: Paul azzecca la descrizione più congeniale per lo spirito disfattista della band, lontana da ogni pretenziosità, meravigliosamente inconsapevole della propria grandezza.

Questa sequela si gioielli non è che l’inizio dell’avventura per i Replacements maturi, e la cosa sembra quasi grottesca, vista la qualità e la freschezza di ogni canzone.

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Voto degli utenti: 7,9/10 in media su 5 voti.
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DonJunio 7,5/10
alekk 8,5/10

C Commenti

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DonJunio (ha votato 7,5 questo disco) alle 22:39 del 28 agosto 2013 ha scritto:

Preferisco l'esuberanza di "Sorry ma" e "Stink", ma questo resta un lavoro di rottura, significativo nel fungere da prologo al periodo aureo 84-87, in cui la parabola dei Mats toccherà lo zenith e Westerberg non sbaglierà una virgola. Ci sono però tre pezzi straordinari che bastano a elevarlo dal nutrito plotone dei "dischi di transizione". "Within your reach" è forse l'episodio più strambo nel repertorio dei nostri, uno squisito omaggio ai Cars con quelle sincopi sintetiche che lo avvolgono; "Color me impressed" è tra gli inni più trascinanti del canzoniere di Paul, se la gioca con le varie "bastards of young", "Shiftless when idle" e "Kids don't follow"; "Willpower", wave desertica suonata nel gelido Minnesota. Francesco sempre immenso, Westerberg saprà di avere un agiografo così bravo in Italia?

FrancescoB, autore, (ha votato 8 questo disco) alle 8:45 del 29 agosto 2013 ha scritto:

Ti ringrazio Don, anche se sei troppo generoso (il pezzo migliore sui Mats è il tuo, in realtà). Sono comunque contento di sapere che apprezzi questo lavoro (non che avessi molti dubbi), e concordo in pieno con la descrizione che hai reso dei pezzi migliori.

alekk (ha votato 8,5 questo disco) alle 19:30 del 16 dicembre 2013 ha scritto:

Bello bello pure questo,a metà tra lo scatenato Sorry Ma e gli inarrivabili capolavori Let it Be e Tim. E' il disco che va ascoltato con più attenzione perchè rappresenta lo step di crescita autoriale di Westerberg e soci. Color Me Impressed,Willpower,Hootenanny e la dinamitarda You Lose sono tantissima roba. Complimenti per la recensione...sentita e competente...e da un amante dei Replacements sono molto contento che sia stato recensito anche questo gioiello.