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R Recensione

7/10

Menomena

Mines

Terzo disco per il trio di Portland, e forse quello che guarda alla forma canzone con meno boicottaggi. Vero che parlare di forma per i pezzi dei Menomena è azzardato: parte della fortuna dei dischi precedenti era dovuta al famigerato Deeler, il software ideato da Brent Knopf che permette alla band di costruire le canzoni attraverso improvvisazioni e aggiunte sovrapposte a dei loop basilari. Ne sono sempre scaturite figure sghembe e labirintiche, piene di dettagli in mutazione costante. E dischi eccellenti (“I Am The Fun Blame Monster”, 2003; “Friend And Foe”, 2007).

La tecnica non è cambiata per questo “Mines”, ma è forse cambiata l’attitudine. Il Deeler non viene usato solo per scomporre le architetture dei brani, ma anche per ricomporle. Molti pezzi partono spogli e sfilacciati, costruiti su pochi elementi che si inabissano e riemergono come fiumi carsici, fino a quando il quadro cubista non viene armonizzato con una specie di messa in asse delle diverse parti strumentali. E allora, spesso nel minuto finale, i pezzi dei Menomena rivelano tutto il loro potenziale pop. Che è tanto: vedi “Dirty Cartoons”, disfatta e smagliata nel primo minuto, e poi via via arricchita e riempita fino alla conclusione corale, quasi epica.

Insomma, se prima era l’ascoltatore a dover ricostruire il puzzle da sé, il che era appassionante ma ogni tanto macchinoso, in “Mines” ci pensano spesso i tre ‘femenomeni’: così nell’energica “Taos”, col suo tiro rockenrolle svirgolato e trasformista, con tratti da opera-rock, o nell’art-pop ghignante e da cabaret noir di “Five Little Rooms” (bellissimi gli ottoni, inquietante il testo: ma nei Menomena l’ottimismo è out). Che poi le sorprese non mancano: “Tithe”, tra le migliori, parte come nenia per glockenspiel, per poi diventare intenso inno di lamentazione («nothing sounds appealing»).

Brent Knopf, Justin Harris e Danny Seim, come in passato, si alternano alla voce: notevoli i due cammei di Knopf (“Killemall”, “Intil”), certamente il più delicato dei tre, ma delicato di un romanticismo vizzo e un po’ decadente che già si respirava nel suo disco da solista come Ramona Falls (“Intuit”, 2009). Centrati gli inserti di sax di Harris (“Bote”, convulsa, “Oh Pretty Boy, You’re Such A Big Boy”, sinuosa), ma nessun particolare del disco infastidisce o appare fuori sesto, tanto più nei pezzi meno ‘affollati’ (“Queen Black Acid”).

Non mi vengono in mente molte altre band i cui dischi siano assieme così pensati e godibili, così art e pop. Tv On The Radio, Flaming Lips, Cloud Cult. Sì, ma tira un’altra aria. In “Mines” si respira un’eleganza tutta dei Menomena. Magari un po’ frigida qua e là, ma magica, e capace di incantare e stimolare il ri-ascolto come poco altro in giro. E quasi certamente il disco da cui partire per conoscere il trio di Portland, per i molti che li ignorano, diventerà proprio questo.

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Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 18 voti.

C Commenti

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fabfabfab alle 15:39 del 11 agosto 2010 ha scritto:

Mmmm, questi son bravi, ora vado a caccia ...

tramblogy alle 21:47 del 20 agosto 2010 ha scritto:

che buon impatto!!!!!

tramblogy alle 20:33 del 23 agosto 2010 ha scritto:

sto in loop senza tregua....

REBBY (ha votato 8 questo disco) alle 11:36 del 4 ottobre 2010 ha scritto:

Tre cantanti (di cui uno che ricorda Damon Albarn

e un altro uno dei Tv on the radio), una varietà di riferimenti e atmosfere pari quasi al numero delle canzoni (sono canzoni "sghembe" il giusto,

forse piacciono anche al doc...) e nonostante ciò

suona unitario. La ricerca musicale non è mai fine a se stessa, ma è al servizio delle melodie.

Molto più immediato dei predecessori. Sono ai primi ascolti e a me pare tra i migliori album

"art rock" (eheh) usciti quest'anno!

hiperwlt (ha votato 8 questo disco) alle 0:11 del 7 dicembre 2010 ha scritto:

per me, insieme a "wild smile" dei suckers, il miglior disco art-rock di quest'anno. "oh pretty boy, you're such a big boy", che parte come un pezzo dei kula shaker cantato da damon albarn, è perfetta quando si dispiega in un flessuoso motivetto sintetico (trascinato da una ritmica davvero conturbante); notevole anche l'eleganza roboante di "five little rooms" (intenso il cantato). questi due episodi gli apici del disco.

bargeld (ha votato 8 questo disco) alle 19:56 del 18 dicembre 2010 ha scritto:

Ammetto di essere arrivato tardi sia sul disco che sui Menomena, ma come si dice, meglio tardi... E' un genere che adoro ma che non ho mai avuto modo di approfondire granchè, dunque se mi date qualche dritta (anche sul passato della band), coglierò a piene mani, grazie!

Detto questo, il disco sarà sicuramente nella mia top ten 2010. Un gioiello!

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 10:47 del 29 dicembre 2010 ha scritto:

Mica male!! Eccellente lavoro di batteria, sovrapposizioni sbilenche degli arrangiamenti, lirismo art- Wild Beastsiano ai confini del teatro, voce satura e tonante; notevole pure il cupo romanticismo dei testi. Originale e sentito... gran bella scoperta!

Cas (ha votato 7 questo disco) alle 11:55 del 30 dicembre 2010 ha scritto:

Un piatto davvero ricco! Si riescono a far confluire le tendenze sperimentali della band (che ultimamente non portavano chissà dove) in una soluzione ugualmente complessa ma meno contorta e spigolosa. I brani si dipanano tra mille cromatismi, soluzioni armoniche ad incastro, addensamenti sonori ed esplosioni liriche degne di nota. Ripasserò per il voto!