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R Recensione

6,5/10

Spoon

Transference

Al settimo disco si può dirlo con una certa tranquillità, anche se si poteva dirlo già al secondo: gli Spoon sanno scrivere pezzi ‘pop’ come pochi sanno fare (tre su tutti: "The Underdog", "I Summon You", "I Turn My Camera On"). Pezzi istantanei, radiofonici, killer, che stuzzicano subito, senza la necessità di riascolti. È per questo che stanno nelle colonne sonore di mezzi telefilm d’america, da O.C. a Scrubs passando per i Simpsons, per non parlare dei videogame. E gli States li adorano con un culto nemmeno così di nicchia.

Il loro problema, se così vogliamo chiamarlo, è che non sempre gli Spoon vogliono scrivere ‘quel’ pop. Anzi. Per lo più lo sabotano: la loro arte (art-pop, allora?) sta nel deviare l’accessibilità melodica e nello sgambettare l’easy-listening più limpido, soprattutto grazie a un sapiente lavoro in studio e a una scrittura volentieri laconica. Qui, più che altrove. Rispetto al più recente “Ga Ga Ga Ga Ga”, in particolare, risalta la volontà di scrivere canzoni meno dirette e rifinite, meno – verrebbe da dire – ‘canzoni’.

Basterà prendere “Is Love Forever?”, traccia due, per rendersene conto: un ritmo quadrato, chitarre belle secche, voce ridotta a pochi interventi, struttura del tutto anticonvenzionale, durata di due minuti. Gli Spoon, in “Transference”, esplorano la tecnica dell’aborto. E così quasi tutto il disco si costruisce su schizzi volutamente non completati, con un’abbondanza inusuale di parti strumentali e un Britt Daniel particolarmente evasivo, attento a cercare la via di fuga piuttosto che la melodia perfetta. Daniel stesso ha parlato di un disco «più cattivo» dei precedenti, dove la maggiore cattiveria non è affatto da intendersi come abrasività sonora più dura (anzi, è vero semmai il contrario: in un mare di proposte lo-fi, qui la fedeltà è altissima, e nulla è rozzo o bilioso), ma piuttosto come volontà di non accontentare l’attesa dell’ascoltatore con ammiccamenti catchy. Di voler sbagliare i gol a due metri dalla porta.

A un primo ascolto non è improbabile, per chi ha amato dischi come “Kill The Moonlight” (il loro apice?) o “Gimme Fiction”, rimanere delusi. Ma poi si intuisce che se gli Spoon non deliziano subito le orecchie, è perché hanno scelto di farlo in un secondo momento: i trucchi del mestiere, i quattro di Austin, li conoscono ormai troppo bene. E dopo qualche passaggio risulta difficile non apprezzare le venature soul di “The Mystery Zone”, “Who Makes Your Money” (Prince!) o “Nobody Gets Me But You”, dove la voce ruvida e raspante di Daniel sembra giocare a nascondino e dove il basso di Rob Pope prende un groove da dieci e lode. Electro-funk very cool.

È proprio la sezione ritmica a reggere “Transference”: il passaggio tutto drums-based tra “Out Go The Lights” e “Got Nuffin’” (post-punk un po’ guappo, quasi degli Wire o dei Joy Division alleggeriti dalle pare) lo dimostra bene, così come molti incipit tutti batteria (sfizioso quello di charleston di “Before Destruction”) e l’interessante sterzata di ritmo a metà di “I Saw The Light”, tutta giocata su una ruffiana successione armonica discendente. E pazienza se manca un hit sicura: “Written In Reverse”, col suo tiro r’n’r solidissimo, ci va vicina, e “Trouble Comes Running” la sfiora. Semmai c’è la grezza elegia su piano di “Goodnight Laura” a pensarci: una ballad che potrebbe sembrare quasi parodistica, se non fosse così elementarmente bella.

E così si impara un’altra cosa: una tappa non memorabile nella discografia degli Spoon può essere comunque un buon disco.

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Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 7 voti.
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REBBY 6/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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rubens alle 18:54 del 18 gennaio 2010 ha scritto:

Sbagliare i gol a due metri dalla porta.

La miglior definizione di pop sghembo che abbia mai letto !

Per il voto al disco ripasso

Utente non più registrato alle 12:36 del 29 gennaio 2010 ha scritto:

Ho trovato il disco un po' troppo prevedibile, per buona parte della tracklist gli Spoon si sono sputtanati nei primi secondi di ogni brano rendendo così stucchevole l'ascolto. Poi però alla fine ti piazzano un poker di brani notevole (da Goodnight Laura) ma da soli non bastano mica.

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 17:12 del 8 marzo 2010 ha scritto:

Per me quest'album vale meno del precedente. Non

è questione tanto di arrangiamenti più scarni,

quanto di songwriting meno ispirato. Ad ogni modo

gli Spoon sono oramai classic, non più indie eheh