R Recensione

7/10

Steven Wilson

Insurgentes

Vero che è il primo album da solista per il cantante-chitarrista dei Porcupine Tree ma non c’è da lasciarsi ingannare: Steven Wilson ha alle spalle una carriera piena di collaborazioni e proposte che faticano a lasciarsi contare.

Per chi aveva un minimo di dimestichezza con il particolare estro wilsoniano c’era grande attesa per questo debutto, tanto da bruciare in breve tempo tutte le 3000 copie della versione bonus con aggiunta di secondo disco, ormai introvabile (sostituita, per adesso, da una versione disco + dvd). Il lavoro di packing dimostra un’attenzione maniacale per tutto ciò che circonda questo lavoro, difficilmente  etichettabile e immerso tra industrial noise, drone, shoegazing e progressive rock, definito dai più semplicemente art rock.

Per chi avrà la passione e il tempo di interessarsi alla vasta operazione che ha presentato, e presenterà, questo lavoro in ogni formato possibile e con diverse modifiche, basta ricercare brevemente informazioni sulla rete, perché ci sarebbe il rischio di trattare solo dell’ambito commerciale. Di certo se ne trae l’impressione di non essere davanti a un calcolo di vendita, quanto un tipo di elaborazione strutturata e complessa, di pari livello all’aspetto compositivo, al limite del feticismo.

In fondo Wilson è una sorta di profeta della scoperta, del senso dell’esplorazione, della musica come viaggio, da intraprendere senza meta e da cui lasciarsi trascinare privi di destinazione.

Unico pezzo realmente etichettabile sotto l’insegna progressive è No twilight within the courts of the Sun, dove è facile identificare il contributo di Tony Levin e Gavin Harrison dei King Crismon. Siamo su tracciati più classici, rispetto al resto del disco, ma c’è tanta qualità da non riuscire a sorridere a un’uscita di queste qualità, targata 2009 (anche se in digitale girava dalla fine del 2008).

Non è un lavoro dal facile ascolto ma neanche fastidioso, al massimo può indurre qualcuno all’assopimento in alcuni momenti. Dipende da quanto si riesce ad amare il genere. C’è qualcosa dei Massive Attack (Abandoner), il contributo del cyberpunk di Michiyo Yagi (Insurgentes), il clima dei Pink Floyd più cupi, accenni di malinconia stile Radiohead, rifrazioni musicali che ricordano i Muse e, anche a vedere le dichiarazioni di Wilson, molto lavoro hanno fatto Joy Division e The Cure.

Insomma è difficile riuscire a delimitare Insurgentes, che è semplicemente il nome della via di Città del Messico dove si è svolta parte delle registrazioni.

Progressive e psichedelica coniugate su declinazioni nord-europee, sotto le effigi di un senso di solitudine umana, con punte di industrial noise. Qualcuno ha richiamato i lavori dei Nine Inch Nails ma i nomi già fatti qui sopra sono decisamente più appropriati, anche se meno d’impatto per il mercato contemporaneo.

L’unico tentativo sensato per dare una descrizione track by track sarebbe citare le collaborazioni di cui si avvale Wilson nelle diverse occasioni. Credo sia parte del piacere di questo disco lo sfogliare il libretto e indovinare dove c’è più influenza dei Porcupine Tree, dove i Blackfield.

Ottima la prova vocale e di chitarra di Wilson (che gode della libertà di regista dell’opera), così come le sessioni di batteria. Sacrificato sembra il suono del basso e forse ci si poteva aspettare di più dal contributo di Jordan Rudess (Dream Theater).

Per chi dovesse orientarsi all’acquisto il consiglio è aspettare che torni in circolazione il bonus disc di cinque tracce già esaurito (per i maniaci può anche andare il dvd in alta qualità, decisamente godibile). Delle canzoni lì contenute merita ricercare in rete, almeno per l’ascolto, Collecting Space e Punture Wound.

Il fine è il viaggio, non c’è niente da inventare, nessun territorio inesplorato, ma un semplice vagare, spaziando in diverse direzioni.

Questo è quanto vale la pena dire a parole, la minimale introduzione per allontanare chi di questo genere non vuol sentir parlare e stuzzicare chi non ne è disgustato. Un lavoro affascinante e allo stesso tempo inquietante (si veda anche la copertina del disco). Gli amanti del progressive rock, a non essere in possesso di Insuergentes, hanno già commesso peccato veniale.

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 15 voti.
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rael 4/10
REBBY 7/10
Lobo 7/10
luca.r 7/10

C Commenti

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swansong (ha votato 8 questo disco) alle 11:32 del 19 marzo 2009 ha scritto:

Ottimo!

Ennesima conferma del genio assoluto di quest'uomo. Potrebbe fare qualunque cosa, cimentarsi (cosa che del resto già fà, in pratica) con qualunque genere musicale e sfornare prodotti sempre e comunque almeno degni di un attento ascolto. Del resto, sono innumerevoli e di altissima fattura le collaborazioni da lui prestate a favore di gruppi ed artisti molto eterogenei, in qualità di "session man", o nelle valenti vesti di produttore o di "semplice" tecnico di mixaggio. Qui pare addentrarsi in territori simil dark-wave con qualche spruzzatina di elettronica trip-hop, molto suggestivi e d'atmosfera. Non tutti i brani, tuttavia, sembrano, all'ascolto, riuscitissimi. Alcuni, appaiono, effettivamente, stucchevoli ed inconcludenti esercizi di stile. Tuttavia, occorre precisare che questo è un progetto musicale che nasce insieme ad un film e, quindi, queste musiche probabilmente necessitano anche del "supporto visivo" per essere fruite e godute fino in fondo. La cura maniacale di ogni, anche piccolissimo, particolare e la produzione cristallina, potrebbero farlo ritenere, a torto, un lavoro freddo e calcolato. In realtà, qui, più che in altre sue opere, viene fuori l'anima (oscura ed inquieta) di un artista che, probabilmente, sta solo tentando, a mio modo di vedere riuscendoci alla grande, di andare alla scoperta di territori musicali per lui sconosciuti, indagarli ed esplorarli per poi, come d'incanto, farli propri, renderli unici all'ascolto e (ri)proporceli sotto nuove vesti, illuminati dalla sua immensa classe. L'ho già detto altrove e lo ripeto, Steve Wilson è un artista unico nel panorama rock attuale: un ingegnere del suono prestato alla musica (e viceversa), che con gli anni ha avuto il grande merito di scrollarsi di dosso l'etichetta, affibiatagli dopo i primi lavori, di emulo dei Pink Floyd, piuttosto che dei Beatles. In realtà, pur guardando ai grandi del passato e da essi traendo forte ispirazione, ha perfezionato nel tempo uno stile unico, moderno ed ormai inconfondibile, senza essere per forza citazionistico o, celebrativo. Infine, faccio i complimenti a Sante. Bella recensione. A parte il voto eh, eh.., condivido molto le tue riflessioni e la scelta di non aver fatto una (inutile) descrizione del lavoro "track by track"...bravo! Complimenti! 8,5

otherdaysothereyes alle 18:17 del 19 marzo 2009 ha scritto:

Ma non era SteveN Wilson?Boh vabbè, però questo disco mi interessa, leggendo i riferimenti qui e su rockerilla direi che potrebbe fare al caso mio! Tornerò per il verdetto...

Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 21:21 del 19 marzo 2009 ha scritto:

Bravissimo Dmitrij, e più che buono anche il disco di Wilson. Se gli ultimi Porcupine Tree, per quanto bravi, mi sembrano fin troppo manieristici, qui mi pare che molto ci sia di guadagnato in freschezza sonora, varietà di idee e loro coesione. Ti consiglio, se non l'hai ancora fatto, di dare un ascolto anche al progetto Blackfield: potresti trovarci gradite sorprese. Dunque voto 7, ma sarebbe 6,5 perchè membri dei Dream Theater vorrei non sentirne mai.

swansong (ha votato 8 questo disco) alle 10:01 del 20 marzo 2009 ha scritto:

In effetti...

bravo Marco, i due Blackfield sono due gemme...

Lobo (ha votato 7 questo disco) alle 10:17 del 27 marzo 2009 ha scritto:

Questo è un bel disco: tecnico, ispirato... Il recensore è molto bravo e competente.

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 16:13 del 6 aprile 2009 ha scritto:

17 anni sono passati da On the sunday of life e

quest'uomo è ancora qui a sfornare dischi così

interessanti e piacevoli. Niente da dire se non tanto di cappello a lui e alla bella recensione di

Dmitrij. Davvero ottimo anche il contributo di Swan (sul voto sono d'accordo con Sante, proprio

perchè non tutti i brani sono riuscitissimi).

NickRock (ha votato 9 questo disco) alle 21:20 del 8 giugno 2009 ha scritto:

Re Mida

C'è davvero poco da dire.. Siamo di fronte ad un musicista dall'immenso talento che riesce a stupire ad ogni prova, impressionandoci sempre con la facilità di scrittura di composizione e come se non bastasse anche con la sua maestria in veste di produttore. Ogni progetto in cui c'è il suo zampino (Porcupine Tree, No-Man, Blackfield etc.) porta inconfondibile lo stigma del suo talento e rappresenta diversi aspetti musicali della sua caledoscopica ispirazione. Robert Fripp, Peter Gabriel, Brian Eno, Tom York.. Signore e signori io aggiungo anche mister Wilson.

luca.r (ha votato 7 questo disco) alle 12:41 del 10 novembre 2010 ha scritto:

non un capolavoro, ma un bel disco

sono assolutamente d'accordo con la (bellissima) recensione. Un buon lavoro, sicuramente una bella spanna sopra le ultime (quasi inascoltabili) fatiche a firma porcupine tree. Il sig. Wilson, quando vuole, il segno lo lascia ancora..

Utente non più registrato alle 14:30 del 29 novembre 2012 ha scritto:

Chi altri avrebbe potuto sfornare un disco del genere se non l'autentico mattatore della scena rock mondiale degli ultimi 20 anni?!... Senza dimenticare le udibilissime ultime uscite dei Porcupine Tree...

classicsor (ha votato 9,5 questo disco) alle 20:23 del 3 settembre 2013 ha scritto:

secondo me disco capolavoro, come dici tu un intreccio di radiohead, pink e cure leggermente. disco molto molto curato, scelta dei suoni specifici in ogni traccia, 8parliamo di Wilson, grandissimo genio) interessante il nuovo progetto dei Blackfield, mi procurerò qualche loro disco. da 9...