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R Recensione

9/10

Volcano!

Beautiful Seizure

Cosa sarebbe successo se Thom Yorke, all’apice della sua gloriosa carriera musicale con i Radiohead, avesse deciso di sciogliere il gruppo, per poi indossare un paio di occhiali dalla montatura di plastica, sparire nel silenzio più totale e ritornarsene un paio di anni dopo con un cd, dalla copertina frusta e logora, che assomiglia vagamente ad un “Ok Computer” passato sotto la rassegna di un venditore di pentole?

Che cosa succederebbe se un toccante lirismo, accompagnato da intense melodie, si scontrasse, come un treno ad altissima velocità, con la concezione ancestrale del rumore, inteso come forma primitiva di comunicazione?

La risposta alle vostre domande arriva dalla solita Chicago, solita foriera delle solite “next big thing”che, una volta ogni tanto, produce davvero dei talenti insospettati, da tenere d’occhio. La storia di Aaron With (cantante, chitarra elettrica), Sam Scranton (batteria, percussioni) e Mark Cartwright (basso, tecnico del suono, tastiere), più conosciuti (o forse no?) con l’esplosivo pseudonimo di volcano! (da tenere presente la v minuscola e il punto esclamativo), è il solito tam-tam di anni di dura gavetta, rifiuti che fioccano da ogni parte, demo pazientemente incisi e puntualmente rispediti da qualsivoglia casa discografica. Finchè qualcuno, oltre l’Oceano Atlantico, (l’etichetta inglese indipendente Leaf), si accorge delle loro enormi potenzialità, decidendo di dar loro una possibilità. E dopo tanti sospiri, ecco che nei negozi arriva “Beautiful Seizure”: domi nel 2005, Europam l’anno successivo.

Sin dalla copertina si intuisce che questo, non è un cd come i soliti. Il mare di lapilli mal pixelati che irrompono da un’esplosione onomatopeica, in perfetto stile Paperino, ed il nome del gruppo in basso, scritto in piccolo, fanno presagire quantomeno un’opera assurda, bizzarra. Vero in parte: questo album, in realtà, è talmente complesso da sembrare, quasi per costrizione, bizzarro. Eppure, ascolto dopo ascolto, si percepisce il tumultuoso fiume in piena, compositivamente parlando, che scorre nel bel mezzo del cd: l’elevata tecnica del trio viene coniugata ad una serie infinita di ispirazioni, tanto fresche quanto geniali, che spesso vengono portate al parossismo da una sensibilità poetica, acuta e straniante.

Ed è un lavoro da ascoltare con attenzione, onde evitare una smorfia di disgusto che pervade il volto e la tipica esclamazione: “Brutto!”. Perché l’incipit è una delle cose più difficili mai ascoltate nel Nuovo Millennio: dopo la strumentale “Kalamazoo”, una dolce risacca di campanellini, cetre e suoni arpeggianti, arriva il devastante uragano di “Easy Does It”. Sono sufficienti quattro colpi di bacchetta, un vero e proprio maleficio, lanciato da Scranton, per scatenare una tempesta sonora senza uguali: i tumultuosi tempi dispari delle percussioni vengono soffocati sotto una mitragliata di cacofonici riff, pesantemente distorti, a loro volta, da una tonnellata di synth elettronici, nel più puro spirito noise. Ma i ragazzi, gli strumenti li sanno tenere in mano: qua e là, in mezzo all’assordante rumore, si possono avvertire finezze stilistiche non indifferenti. Ed infine, la voce di With: giunta in un momento di calma apparente, mentre tutt’attorno risuona un tappeto di tube, è innegabilmente debitrice della matrice yorkiana ma, rispetto al frontman dei Radiohead, ha una marcia in più: quella di sapersi alterare, come in preda ad una violenta epilessia, raggiungendo un’esasperazione ed una frenesia incontrollabili, in piena sintonia con la componente musical/rumoristica che accompagna il tutto. 

Mentre un sax fa scivolare via le ultime note di un colpo di genio insospettabile, parte la terza “Fire, Fire”. Senza riciclarsi, i volcano! riescono a risultare inequivocabilmente imprevedibili. L’arpeggio iniziale, dalle ridondanze epiche, è scarno ed essenziale, non scade nella pomposità, ed è il preludio perfetto a quello che sarà uno dei pezzi cardine dell’intero disco. La voce del singer, piagnucolosa e carezzevole, accompagna con pathos ed armoniosità la chitarra: e quando questa sfuma, nelle spire luccicanti di un sogno dorato, l’improvvisazione prende il posto del copione prefissato, arrivando prima a molleggiarsi su una base dal forte accento rap, per poi contrarsi spasmodicamente in una fragorosa esplosione, scattando istericamente fra un riff isolato ed un predominio elettronico, senza lasciare tempo a inutili pause riempitive. Quando gli strumenti si acquietano, parte “$40.000 Plus Interest” (la somma che, si vocifera, Aaron With debba restituire al proprio college), un territorio pacifico preda dei vocalizzi e dei gorgheggi lamentosi del singer, accompagnato solo da un arpeggio di chitarra, dolce e malinconico, che, talvolta, viene disturbato da reminescenze elettroniche che sanno di Morricone, foreste di taciti scampanellii che risuonano in un vuoto onirico, rumori di sottofondo non ben identificati (le bacchette che vengono percosse, una scarpa che batte, qualcosa che cade).

I volcano!, a questo punto, concedono una breve tregua, con due intermezzi carichi e passionali: dapprima “Larchmont’s Arrival”, un breve trip strumentale, carico di synth magnetici e sferraglianti, talmente acuti da far raggiungere una sensazione quasi di fastidio, poi “ La Lluvia”, una filastrocca ispanica, per sola voce (si ha un dejà vu di Matthew Bellamy), in parte distorta da un sintetizzatore prodigioso, che fa del suo meglio per innalzare crepe sonore nel perfetto intonaco realizzato sino a quel momento. Ma la nota lunghissima con la quale With conclude il pezzo nasconde una sorpresa: è il pass per accedere al capolavoro del disco, la lunghissima (nove minuti e cinquantacinque!) “Red And White Bells”. Impossibile da catalogare, tale è la varietà di generi presente al suo interno: una prima parte pesantemente influenzata dalle tastiere, che precede una sezione intimistica che, a sua volta, come nella più violente delle epilessie, si contorce (e si distorce) sotto un continuo martellare di velocissimi riff e di ritmi dispari, mentre il cantante raggiunge una frenesia mai sentita prima, ripetendo, in un acido delirio, il monosillabo nonsense “fa-fa-fa-fa-fa”. A questo punto, tutto sembra calmarsi: parte una lunghissima sezione strumentale, nella quale si ha solamente una vaga cognizione di cosa sia la chitarra e di cosa sia il basso, entrambi spariti quasi sottoterra, inghiottiti dal parquet dello studio di registrazione… ma l’epilogo è ben differente: riesplode, con dissonanza inaudita, il caustico gaudio di assoli misti a loop impazziti, mentre tutto si spegne, riavvolgendosi a spirale, soffocando qualsiasi possibilità di fuga.

L’unica sensazione che si ha, a questo punto dell’ascolto, è di tramortimento: non si capisce bene il come, il dove, il perché, la confusione regna sovrana. Eppure, subito si viene rapiti da “Apple Or A Gun”, brano successivo. Difficile non essere conquistati dal trionfale arpeggio iniziale, sovrastato da una quantità inenarrabile di synth maestosi: difficile non sorridere al ritmatissimo scambio di battute fra le chitarre e le parti vocali, sempre più prostrate e parossistiche, in una sorta di strana dancehall; difficile non rimanere sbalorditi a sentire Cartwright che gira le chiavi del proprio basso in diretta. Difficile non ammettere che si tratta dell’ennesimo, grande colpo di genio. Come è altrettanto difficile capire che la traccia seguente, “Frozen In Escape”, è un mezzo passo falso. I suoi cantati assomigliano un po’ troppo a quelli di “ La Lluvia”, l’arpeggio che sostiene in gran parte il brano è difettoso di lucidità e comincia ad annoiare, nemmeno i rumori in sottofondo hanno conservato quell’aura di originalità che li aveva portati a sovrastare ogni altro, possibile pensiero. 

Ascoltatore chiama, volcano! rispondono: si ripristina la patina di sana bizzarria, persa in parte per strada e, dopo un breve intermezzo (“Before The Suburbs”, un concentrato di pizzicorini acusticoidi che sembrano essere lì quasi per caso), ecco arrivare la pronta riconferma: con un candido e schietto “Hello Explosion” i Nostri riprendono a fare quello che sanno fare davvero bene: rumore. Ma è un rumore diverso, più maturo: dopo i riff iniziali, acidamente punk e il predominio, caldo e rilassante, in stile Eluvium, di un ormai esausto sintetizzatore, il pezzo si stabilisce su parametri più o meno normali, con la comparsa di scricchiolii sospetti a rompere fragorosamente la calma apparente. E la chiusura è degna del più classico dulcis in fundo: “Pulling My Face In And Out Of Distortion, I Blink Too Much” è una composizione complessa, mutevole, in cui lo spirito semi-circense dell’avvio si perde in una vallata di cornamuse, sassofoni, tube e fiati vari, mentre l’ugola di With alterna incomprensibili e frammentarie sillabe, sputate fuori con assurda compiacenza, a momenti di silenzio assoluto, seguendo l’encefalogramma del gruppo, così stravagante da non sembrare troppo vero.

Se non è stato il disco del 2005, poco ci è mancato: forse, l’inesperienza e la voglia di strafare hanno condizionato quello che, in ogni caso, è praticamente un capolavoro. Dire che sarebbe da comperare a scatola chiusa non significa nulla: non comprarlo (o scaricarlo, per rimanere ai passi con i tempi) sarebbe un sacrilegio, acquistarlo per poi ascoltarlo tutto di un fiato pure. “Beautiful Seizure” è come una scatola di cioccolatini atomici, da gustare piano piano, per evitare indesiderati effetti collaterali. E pazienza se non vi piacerà: almeno, avremo avuto l’inaspettata conferma che, al giorno d’oggi, l’universo musicale non è completamente deceduto, e che si può fare tranquillamente a meno della scena mainstream… i saggi li definiscono “pochi, ma buoni”.

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Voto degli utenti: 8,8/10 in media su 8 voti.
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target 8/10
loson 10/10
Cas 9/10

C Commenti

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Punchdrunk alle 21:34 del 25 aprile 2007 ha scritto:

Bravo

Questa recensione è veramente geniale! complimenti!

target (ha votato 8 questo disco) alle 15:55 del 26 aprile 2007 ha scritto:

Complesso

E bravo Marco davvero. Sai che queste cose le ammiro, ma fatico ad ascoltarle, per la mia insita paciosità uditiva. Ma ho conservato un briciolo di oggettività, e questi suoni assurdi, devo ammettere, la stimolano.

Marco_Biasio, autore, alle 16:18 del 26 aprile 2007 ha scritto:

Damn

Grazie, ragazzi, troppo gentili davvero, ai laaaaaaaaaav iuuuuuu!!!

greg ranieri alle 15:14 del 27 aprile 2007 ha scritto:

grandissimo disco, non molto distante dalla parola capolavoro

paolo gazzola (ha votato 9 questo disco) alle 15:54 del 7 maggio 2009 ha scritto:

Meraviglioso!

C'è dentro tutto, generi e epoche, ma suona come una cosa unica. Mi sbilancio, fra i migliori gruppi del decennio!

loson (ha votato 10 questo disco) alle 22:40 del 16 giugno 2009 ha scritto:

Uh, questa rece m'era sfuggita. Quoto Greg: album (e band) monumentale. D'altronde, quale altro disco di 'sta decade miscela senza sforzo noise rock e elettronica improv, Radiohead e Sonny Sharrock, Pere Ubu e Art Ensemble Of Chicago? Una pietra miliare, melodicamente impervio e per questo irrinunciabile, per me al pari di tutti i più influenti dischi rock che vi/ci vengono in mente. Un cataclisma emotivo senza precedenti, di quelli che ti cambiano la vita. Grande Marco!

Cas (ha votato 9 questo disco) alle 22:52 del primo gennaio 2010 ha scritto:

che monolite questo disco! ti travolge e ti stordisce in un infinito alternarsi tra esplosioni sensazionali capaci di togliere il fiato e momenti incredibilmente intimisti e rilassanti...ottima disanima marco! capolavoro!

Franz Bungaro (ha votato 9 questo disco) alle 17:51 del 8 ottobre 2013 ha scritto:

Allora, se la matematica non è una opinione (e mai come in questo caso, la matematica tutto è tranne che opinione) tu avrai avuto 15 o 16 anni quando hai recensito, e così bene, quest'album, per me folgorante...io a 16 anni vivevo a Milano, avevo un walkman della sony, fighissimo, con l'equalizzatore manuale sullo sportellino, una vera sciccheria... e dentro, la cosa più sofisticata che c'è entrata era la cassetta di "Mondi sommersi" dei Litfiba. No dico, "regina di cuoreeeeiii". Questo solo per ribadire l'enorme stima e devozione che nutro verso la tua sensibilità uditiva Marco. Detto questo, rincarata la mia quotidiana dose di umiliazione personale, mutuando una tua splendida frase mi limito a dire che....questo disco è "una scatola di cioccolatini atomici".

Marco_Biasio, autore, alle 9:46 del 9 ottobre 2013 ha scritto:

Grazie dei complimenti, Franz, sei troppo gentile. Però, se il fiuto non mi inganna, anche il tuo alter ego quattordicenne sarebbe stato irrimediabilmente stregato da una copertina del genere colta di sguincio, no? Di fatto questo è uno dei dischi più potenti ed originali che mi sono rimasti in discografia. Loro hanno cambiato pelle già diverse volte e si sono sempre dimostrati un grande gruppo. Questo è indubbiamente la vetta, creativa e tecnica, ma Paperwork e Pinata meritano entrambi dozzine di ascolti! Chapeau.