Babyshambles
Shotter's Nation
Premessa:
Nella presente recensione verranno trattati temi esclusivamente inerenti al contenuto del disco in questione, paragonandolo, ove necessario, al suo predecessore.La presentazione della band, del personaggio Doherty, della sua vita privata e più in generale di tutte quelle porcherie adatte solamente a riempire i periodici scandalistici nonché le cronache nere e rosa che siano, verranno volutamente trascurate e ignorate causa saturazione mentale.
Partendo dalla personale ma convinta opinione che il sottoscritto ha maturato per "Down in albion" in tempi da record mondiale assoluto (in sostanza ha avuto lo stesso effetto di un bel calcio sulle parti basse e senza protezioni, uno di quei colpi che sicuramente non se ne sente il bisogno e che, beh sì, si avvertono diciamo immediatamente)…si può facilmente capire come il mio approccio a questo seguito, secondo me ingiustamente acclamato, è stato come dire, inequivocabilmente condizionato, almeno la prima volta, da presunzioni post-delusione.(più o meno la stessa provata dalla maggior parte delle persone che sono rimaste favorevolmente impressionate da Up the braket).
Dei dischi "post Libertines" quello di Carl e dei suoi Dirty pretty things è sicuramente il più ispirato e sentito.
A dire il vero è stato fin troppo facile schierarsi, poiche’ ritenevo e ritengo ancora oggi "Waterloo to anywhere" un disco sicuramente superiore al disastroso "Down in albion" capace di terribili cadute di stile come la raccapricciante "Pentonville", il raggae di "sticks e stones" e la "sbilenca" "a’rebours"…Qualche buono spunto qua e là si poteva tuttavia recuperare: i singoli Fuck forever", "Killamangiro" e il lento "Albion" ma obiettivamente poco altro.
Shotters nation è davvero un disco di canzoni rock ispirate e con una certa uniformità di base,tutto ciò che mancava a "Down in albion", insignificante parentesi "d’attitudine rock" con qualche sporadico lampo utile a coprire un vuoto cosmico preoccupante.
Da tempo mi preparavo ad una ferma stroncatura, dura e schietta…Ascoltandolo però, mi sono ritrovato a recensire un lavoro totalmente diverso da quello che, grossomodo, stava pian piano prendendo forma, colore e sostanza.Mai e poi mai avrei immaginato di poter salvare un disco annunciato già bocciato ancor prima di essere pubblicato.
Laddove lo spessore delle composizioni mancava terribilmente a favore di un "rock di facciata", qui possiamo trovare invece, spunti decisamente interessanti a partire dal singolo "Delivery", una indie rock song in salsa kinks periodo ’65 (All day and all the night e You really got me come muse ispiratrici primarie).
"Crum beggin band" è invece un ibrido tra i Pink floyd (il riff di basso iniziale altri non è che una trasformazione del riff chitarristico di "Lucy leave", una delle primissime composizioni dei Floyd di Barrett registrata nel ’65 e mai pubblicata come singolo)e i Doors (il ritornello, nella fattispecie il pezzo dove Pete canta "Crumb Begging Baheeeeeead " accompagnato da un organetto vivace e in crescendo fino al finale ricorda molto se non moltissimo la band di Morrison).
Buone anche le "frenate" "Unstookie titled" "unbilotitled" e la conclusiva "lost art of murder" se vogliamo un po’ Smiths…forse per la pulizia delle chitarre, forse per l’atmosfera intima e calda, forse perché sono talmente british da poter assomigliare a tutto quello che di buono "mamma Uk" ha saputo offrire in materia di lenti dagli anni ’80 in poi. Regalandoci così tre dolci episodi capaci di un diversivo interessante e pregno di intenso piacere.
Il resto, nonostante una ripetitività sonora pericolosa a volte ai limiti della sopportazione, il fattore derivativo che non va mai trascurato e una interpretazione vocale diciamolo pure stonata e drogata (anche un po’ monocorde), che dopo ripetuti ascolti rischia di venire a noia, ci regala comunque una scrittura nuovamente ispirata, nonché una produzione più minuziosa e curata e meno "improvvisata".
L’inizio "feedbackato" di "Carry on up the morning", l’operazione di "rispolvero" alla "stanza" Libertines a dire il vero mai chiusa del tutto di "You talk" e "Sideo f the road" (a tutti gli effetti la nuova "The boy look at johnny") sono solo alcuni degli episodi meglio riusciti del lotto.
La conclusione è forse un po’ banale ma sicuramente veritiera.
Conclusione:
Dalla musica non ci si può mai aspettare nulla di scontato.
Le sorprese sono sempre dietro l’angolo, magari proprio quando meno te le aspetti, quando eri già pronto a sfogare tutta la tua rabbia compressa nella cinquantina di righe a tua disposizione per stroncare un disco già bocciato in partenza.
Magari mettendo da parte lo "snobbismo" inutile e dannoso che a volte ci attanaglia, riuscendo cosi’ a scoprire dischi piacevoli che magari non entreranno nelle "top ten" personali di fine anno ma che sicuramente faranno passare, a chi lo vorrà, lieti minuti di puro intrattenimento.
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