R Recensione

5/10

The View

Hats Off To The Buskers

L’ennesima next big thing pompata a dismisura dai media britannici questa volta si chiama The View. E più che sul disco ci sarebbe forse da fare una seria riflessione sulla stampa britannica e sulla sua tendenza a vedere imperdibili epifanie musicali con cadenza pressoché settimanale, ma in questa sede ci si tratterrà e ci si limiterà a parlare di musica.

I ragazzi sono scozzesi e precisamente di Dundee. Questo dovrebbe già far capire il contesto geografico, saldamente inquadrato in uno dei fulcri del pop rock britannico. A questo punto contestualizzando il tutto all’annus domini 2007, non sarà difficile intuire che i The View rientrano dritti dritti nel filone del cosidetto new rock inglese: Libertines, Babyshambles, Arctic Monkeys, Fratellis, Kooks, eccetera eccetera.

C’era effettivamente bisogno di un altro gruppo che andasse a rinfoltire questa già sterminata schiera di band? Forse no, ma questo in fondo conta relativamente, che siamo qui a parlar di musica. E in fondo quando un album è bello non si può dir niente e se le canzoni ci sono uno si rimangia volentieri critiche nate dal solo pregiudizio. Che in effetti era lecito aspettarsi il peggio prima di sentire questo Hats off to the buskers.

Non certo un capolavoro, sai ben chiaro, che non è improbabile che tra un paio di mesi ci sia già completamente dimenticati di questi simpatici ragazzetti scozzesi. Resta però il fatto che il disco è piacevole e si fa ascoltare scorrevolmente. Gli episodi positivi non sono pochi: Dance Into the Nights è accattivante per melodia e ritornello. Street the Lights è il gioiellino che luccica di più, con le chitarre a rincorrersi in un ritmo incalzante tutto fun. La genuina (e giovanile) voglia di far casino illumina la trascinante Comin’Down. Superstar Tradesman ricorda fin troppo un incrocio tra scimmie artiche e Carl Barat ma l’ascolto è comunque più che apprezzabile. Ugualmente accattivante è Same Jeans, mentre la scanzonata The Don risente chiaramente dell’influsso di Pete Doherty: influsso che il gruppo riesce comunque a rielaborare in maniera discreta. Wasted Little Dj's , infine, uno dei singoli che li ha lanciati sul mercato, è in effetti un buon esempio di melodie brit pop rielaborate in chiave new rock sotto l’onnipresente egida dei “padri” Libertines.

Non manca però il rovescio della medaglia: che il retrogusto di già sentito comincia a farsi sgradevole in pezzi come Gran’s For Tea e Wasteland, mentre affiorano numerosi segnali di immaturità,come nell’eccessiva mielosità della ballata Face for the radio, nella banalità di Claudia e Don’t tell me e non mancano costruzioni artificiose e insipide come Skag Trendy.

Non si fa fatica a sostenere che si è sentito di meglio quest’anno e facilmente si continuerà a trovare di meglio in futuro. Chi dovesse però amare particolarmente il cosiddetto “new rock” mediato con rimandi brit pop troverà comunque soddisfazione in questo esordio. Tutti gli altri sono avvertiti: The View senza infamia e senza lode. Qualche buono spunto, di certo non i nuovi salvatori del rock.

V Voti

Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 4 voti.
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C Commenti

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doopcircus (ha votato 7 questo disco) alle 16:28 del 12 febbraio 2007 ha scritto:

Sottovalutato

La recensione è ottima, ma personalmente dissento: sarà che sono un anglofilo impenitente ma non posso che capitolare di fronte a cotanta inglesità Fossero tutti così i dischi che l'NME spinge ...

DonJunio alle 10:38 del 13 febbraio 2007 ha scritto:

nme e affini

Sinceramente è abbastanza comprensibile tutto il carrozzone guidato dal NME: il brit-pop e i suoi derivati sono da tempo un settore fondamentale dell'economia inglese ( Tony Blair dixit), e ogni parte del sistema fa la sua parte per muovere una tacca, senza contare tradizionali spocchia e sciovinismo degli amici di Albione.

Trovo invece abbastanza risibile, se non vergognoso, il modo in cui certa stampa italiana si accoda agli starnazzi del NME: in particolare giornali tipo Rumore, con redattori che sembrano fatti con lo stampino nell'osannare ogni clamore proveniente da Oltre Manica, nell'usare un linguaggio che ormai dal noto "Fuck forever: esclusivo, parla pete doherty!" sta per virare verso il "Go Monkeys Go"....

Alessandro Pascale, autore, (ha votato 5 questo disco) alle 12:11 del 14 febbraio 2007 ha scritto:

Rispondo

X DonJunio: il problema è proprio questo: ormai brit pop e suoi derivati sembra che siano diventati un fenomeno quasi meccanico, quasi un'industria. Ogni anno spuntano fuori 3-4 band nuove acclamate in maniera scandalosa per album in genere discreti o poco più e che inevitabilmente cadono nell'oblio con un secondo album obbrobrioso. A me sembra che cominci a mancare la genuinità a questo movimento e che ci si stia avviando verso un clima troppo artificiale e ripetitivo, un'industria appunto. Ma la musica dovrebbe essere arte.

Doopcircus sei decisamente troppo inglese impenitente

prologic (ha votato 7 questo disco) alle 21:22 del 9 aprile 2007 ha scritto:

materia inglese

Io trovo che questo album combini con varietà i vocaboli della musica anglo-americana con piacevole naturalezza. Questa è la loro musica. l'hanno inventata loro e la variano all'infinito, come noi abbiamo fatto qualche secolo fa con il concerto barocco o con l'opera lirica (dopo di che non abbiamo inventato più niente)Comunque sempre mille volte del raffazzonato rock nostrano.