Barzin
My Life In Rooms
Sembra che ultimamente il Canada sia diventato la nuova terra promessa del rock. Gli scienziati stanno studiando la questione di come sia possibile che un paese del genere abbia di colpo tirato fuori dal cilindro una simile sfilza di talenti . Tra questi ritroviamo anche Barzin, progetto portato avanti dalla mente di Mike Findlay. Così dopo l’album omonimo del 2003 lo ritroviamo con questo seguito My life in rooms, disco intimo, delicato, malinconico, soprattutto malinconico, con un unico difetto: essere decisamente troppo malinconico.
L'avvertenza che sorge spontanea è di sconsigliarne l’ascolto a chi ha terminato da poco una storia d’amore o si trova alle prese con una crisi esistenziale. Il rischio di tagliarsi le vene è indubbiamente troppo alto perché io non vi avverta. Gli altri se vogliono possono invece avventurarsi in nove canzoni decisamente romantiche e melanconiche. Il velo di poesia e tristezza che era tipico di Nick Drake o degli Eels di Electroshock-blues ricopre dolcemente le atmosfere levigate di canzoni che sembrano fatte di piume. Le parole sono sussurrate da Findlay e restano immerse in suoni dilatati fino all’estremo come se ci trovassimo di fronte ad un gruppo post rock.
Dream pop? Slow Core? Mah, si, siamo in questo filone. Forse si può riassumere con “folk romantico per giovani ascoltatori del terzo millennio”.
Ma.
Perché c’è sempre un ma.
Ma alla fine l’album non convince del tutto. Troppo zucchero fa venire il diabete e anche qui trentasette minuti senza nemmeno la minima accelerazione pesano sulla valutazione finale. Nove canzoni fatte bene ma tutte uguali perdono valore. E allora peccato. Poteva essere un capolavoro. Ma non lo è. Resta però ugualmente l’album ideale per fare l’amore con la vostra donna. Se non avete la compagna non disperate. Potete sempre usarlo per curare la vostra insonnia.
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