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R Recensione

7/10

They Might Be Giants

Join Us

Il grado di eccitazione dato dall’uscita di un disco dei They Might Be Giants rasenta pericolosamente lo zero assoluto. Cosa può offrire oggi  – dopo tutte le waves possibili e immaginabili – un classicissimo gruppo di quello che un tempo veniva definito “college rock”. Vuoi mettere il dubstep, la minimal-tech, il sorprendente album d’esordio dei Cani, finanche Lou Reed redivivo insieme agli ex eroi dell’Heavy Metal. Probabilmente i TMBG sono quanto di più lontano possa esserci oggi da quello che tira.

Eppure trovare in giro tanti buoni pezzi rock-pop quanti quelli contenuti in “Join Us” non è affatto semplice, anzi. Forse mettendo insieme tutta l’ultima nidiata di gruppi inglesi dell’ultimo anno ne verrebbero fuori la metà di singoli così. La facilità con cui il duo creatosi a metà anni Ottanta tra le mura di un appartamento di Brooklyn inanella uno dietro l’altro perfetti quadretti pop fa riflettere. Fa riflettere sul talento dei due John titolari del marchio e sulla pochezza invece di tanti altri, sospinti più che dal talento, dall’hype creato da battage pubblicitario e da riviste di (Oltre)manica troppo troppo larga. Ma solo con ciò che coincide con il made in UK ovviamente. Anche Balotelli sono riusciti a far diventare un fenomeno manco fosse Maradona. Chiusa la parentesi calcistica, è evidente che la premiata ditta John & John per arrotondare le entrate potrebbe tenere qualche corso intensivo di creatività e capacità di scrittura a buona parte delle pop band di Sua Maestà.

Si veda anche quest’ultimo “Join Us”, senza dover tornare ai superclassici che hanno contraddistinto quindici anni di carriera ai massimi livelli. A partire dall’apripista “Can’t Keep Johnny Down” pezzo dalle perfette armonie pop che rotolano inesorabilmente verso un refrain perfetto. Primo tiro, primo strike. Si prosegue con la cadenzata “You Probably Get That a Lot”, altra lezioncina su come anche nel pop si possa giocare con gran classe sulle ritmiche senza scadere nel pacchiano. Secondo pezzo, secondo strike. Dopo i primi dieci secondi di “Old Pine Box” già si capisce che è arrivato un turkey, ovvero il terzo strike consecutivo. Perfetto pop-rock verse-chorus-verse con ritornello che si infrange esattamente al limitare del minuto di musica. Come da lezione dei vecchi maestri John & Paul. “Canajoharie” se possibile è ancora meglio. Le chitarre cesellano purissima sostanza pop su un corpo rock. Sublime. “Cloisonnè” è un quadretto bizzarro alla Tom Waits o su altre coordinate diciamo Primus, tanto per evocare un altro grande gruppo recentemente tornato alla ribalta. Se non è strike diciamo almeno uno spare con quei fiati in chiusura che ti fanno capitolare ancora. Per l’ennesima volta.

Il primo (mezzo) passo falso arriva probabilmente con “Let Your Hair Hang Down”, veramente troppo zuccherosa. L’indice glicemico si alza vertiginosamente, ma dura poco per fortuna. Con “Celebration” ci ritroviamo tra le mani un altro gioiellino di pop spartano. È una vera e propria celebrazione dei sensi. Roba che qualche pubblicitario illuminato (se esistono ancora ...) dovrebbe sicuramente ascoltare. Il gancio è da ko tecnico. “In Fact” è un altro quadretto bizzarro da pocket-sinfonia come la potrebbe intendere un Brian Wilson degli anni Duemila. La qualità media dei pezzi  è sicuramente elevata anche nella seconda parte del disco – anche se non ai livelli della prima – facendo ricordare alcuni dei momenti migliori dell’alternative rock degli anni Novanta . Come nella splendida “Judy Is Your Viet Nam” (gran titolo tra parentesi) che ricorda i Superchunk e altre band della cosiddetta scena di Chapel Hill. “The Lady and the Tiger” è un pezzo alla Beck ultimo periodo, quindi non proprio memorabile, ma si fa comunque ascoltare. Anche “Dog Walker” si mantiene su queste coordinate, anche se forse è ancora (se possibile) più “princiana”. “Three Might Be Duende” è una marcetta strampalata alla Sgt. Pepper’s, mentre la chiusura è affidata al pop di “You Don’t Like Me”.

Niente male veramente per un gruppo di vecchietti.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 1 voto.
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C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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ozzy(d) (ha votato 6 questo disco) alle 18:09 del 5 novembre 2011 ha scritto:

lavoro dignitoso, bella la recensione.

bestropicalia, autore, alle 15:30 del 7 novembre 2011 ha scritto:

buona rece

Grazie Gulliver!

REBBY alle 8:48 del 21 marzo 2012 ha scritto:

Un anonimo album di pop-rock americano. 18 canzoncine orecchiabili della durata media di due minuti e mezzo scarsi, non fastidiose, ma neppure rimarchevoli. Il singolo (Can't keep Johnny down) per me basta e avanza.