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R Recensione

6/10

INDOCHINE

BLACK CITY PARADE

Parlare degli Indochine in Francia è come parlare di Vasco Rossi in Italia, non tanto per il genere musicale che per la band francese è più accomunabile al repertorio più synth-pop dei Depeche Mode o di artisti new wave e rock elettronico abbastanza vitale ma soprattutto per quanto concerne il seguito storico dei fan e la frenesia  con la quale ogni loro produzione viene attesa.

In effetti, dando un’occhiata alla loro lunghissima carriera, iniziata nel 1981, non si fa fatica a scorgere il crescente successo che li ha portati a diventare una vera e propria icona del rock francese.

Come nell’esempio sopracitato, quello del Vasco nazionale, non hanno mai tentato di valicare i confini per tentare di bissare il successo anche in Europa, forse perché quello nazionale era già ampiamente sufficiente, viste le decine e decine di migliaia di spettatori che popolano gli stadi duranti i loro concerti (sono gli unici artisti francesi ad essersi esibiti allo Stadio Dei Principi di Parigi mai concesso per concerti di musica).

La loro storia biografica è stata molto movimentata e ricca di colpi di scena con morti improvvise di componenti fondatori ed altre vicende che possono essere rintracciate facilmente in giro per il web.

Nel corso del 2013 è uscito il nuovo album, il dodicesimo,  intitolato Black City Parade.

La band capitanata dal frontman Nicola Sirkis, unico membro fondatore rimasto nella line-up, ha realizzato un lavoro che rispecchia nelle sonorità e nei contenuti, quanto già espresso nel precedente lavoro intitolato La Republique des Meteors, datato 2009.

Un rock elettronico piacevole ed energico, vedi su tutti i brani Memoria e Black City Parade  ma che risulta alla lunga un po’ stucchevole e troppo dilatato nei tempi (i brani durano spesso ed inutilmente oltre i sei minuti).  Anche una certa ripetitività nelle melodie e negli accordi, abbastanza simili tra loro, non fa altro che decrescerne il giudizio non registrando nel complesso dei picchi di eccellenza.

Certamente più interessanti e densi sono i testi che muovono da tematiche,  per citare alcuni esempi, come l’omofobia di College Boy, le rivolte studentesche di Le Fond De L’Air Est Rouge , l’analisi letteraria e poetica di Belfast  o le situazioni di vita improbabile nella ferrea ed ostica Corea del Nord in Traffic Girl.

Resta comunque un documento, magari non fondamentale,  di una band molto importante per il rock francese che potrà certamente tornare ad elargire fasi creative più consistenti.

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