Kasabian
48:13
Non ce lho fatta a non unirmi al coro dei detrattori. I Kasabian, ormai sempre più croce rossa dei poligoni della critica musicale, arrivano a questo quinto album senza davvero più nulla da dire. E pensare che, ancora adolescente, mi entusiasmavo sulle note orientaleggianti e i deliri elettronici dellesordio omonimo, o sulle hit degli album successivi, che per la verità andavano sempre più scemando in qualità quanto il gruppo acquistava in popolarità. Ed ero persino lì a saltare a Milano ad un loro concerto (gratis, ça va sans dire, che un biglietto hanno smesso di meritarselo da tempo) praticamente un anno fa. Non mi si può quindi accusare di essere prevenuto.
Che cosa vogliamo dai Kasabian? Una manciata di canzoni cazzone e divertenti quanto basta per far passare una quarantina di minuti, da inserire in qualche mista estiva, per strizzare locchio agli amici meno musicofili. Apprezziamo persino un tuffo nel Brit-pop più classico, come labusatissima (dalle radio) Goodbye Kiss, che lavete cantata pure voi, è inutile negare.
Non vogliamo nulla di più. Con questo spirito ho ascoltato 48:13. Mi direte, già dallintitolare un disco con la sua durata si vede la mancanza di idee. Col senno di poi, avete ragione.
Un disco sul tenore di eez-eh mi sarebbe anche andato bene, che volete, un po di synth con landamento giusto e di cazzonaggine ed una canzone la si fa. Se qui lo scopiazzamento è ancora divertente, non puoi continuare a fare i Primal Scream con due note di synth ripetute ad libitum. Il tentativo sembra quello di mettere da parte il classic rock che emergeva di più nel precedente Velociraptor e di andare a ripescare alcune sonorità dellesordio. Un po di pseudo-electroclash qui, dei break simil hip-hop là, schitarrate un po ovunque ma ispirazione zero. Il risultato è una noia mortale.
Più facile allora dire cosa funziona appena meglio, come il puzzle MGMTiano di doomsday, mentre decisamente meglio è treat che finalmente azzecca un ritmo e una melodia che, non dico resta impressa ma almeno non scivola via allistante. Ci aggiunge addirittura una seconda metà con cassa dritta che mi ha risvegliato dal torpore, niente di eclatante in ogni caso. Ci aggiungiamo se proprio vogliamo, la Beatlesiana s.p.s. unica acustica del disco, anche se con tutte le canzoni che possono essere definite tali in circolazione non farebbe una gran figura. Sorvoliamo sugli interludi coi titoli fra parentesi, proprio inutili e ancora di più sul qualunquismo buttato lì del testo di "eez-eh" ("Now we're being watched by Google"). Di fronte alla bruttezza del disco è inutile anche chiedersi perché i titoli siano tutti in minuscolo.
Sarà colpa del contratto con la Sony che li obbligherà a sfornare un album ogni tot anni? Non credo, ne hanno avuti tre. Non credo neanche, però, che abbiano esaurito completamente la scorta di canzoni da heavy rotation. Il voto che si meritano, intanto, è quello riportato lì sopra.
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