R Recensione

6/10

Boduf Songs

How Shadows Chase the Balance

È un pò difficile riuscire a spiegare l’enorme successo di critica che ha ricevuto Matthew Sweet, in arte Boduf Songs, che dal 2005 è salito alla ribalta facendosi pubblicare un demo dalla Kranky, storica etichetta di Chicago. Difficile perché al di là dell’innegabile bravura non sembra ci sia niente di così sorprendente nei dischi di tale giovine. Nient’altro che folk intimista tragicamente dimesso, deprimente al punto da ricordare le prime devastanti prove emotive di Eels e Black Heart Procession.

Tutto ben fatto per carità, eppure niente di così scandalosamente lontano da songwriter contemporanei più o meno affermati come Josè Gonzales o Iron and Wine. La tragicità soffusa che si respira nei suoi testi può forse essere intesa come un elemento caratterizzante rispetto agli artisti qui citati ma dal punto di vista strettamente musicale non si può prescindere da quello che è in assoluto il vero punto di riferimento di Sweet: Elliott Smith. Le sue canzoni trasudano Elliott Smith da ogni poro, anzi sembrano direttamente composte dal grande songwriter direttamente dall’oltretomba. In un certo senso Boduf Songs è Elliott Smith.

Ma solo una sua parte, e questo è il grande problema. Smith svariava, accompagnava il folk classico in stile Drake a canzoni pop sofisticate e talvolta anche vivaci e fresche. Sweet non è in grado di staccarsi dalla stessa desolante attitudine esistenziale che continua a riproporre immancabilmente dall’esordio omonimo del 2005. Tre dischi praticamente composti con lo stesso identico modello di canzone: qualche gelido synth in sottofondo, una chitarra accarezzata con parsimonia, un cantato appena sussurrato, un’atmosfera gelida e invernale, il tutto all’insegna di un folk “noir” (non diciamo gothicfree per carità) talvolta ai limiti dello slo-core.

Tutto qua? Tutto qua. Il che è fatto molto bene intendiamoci, con gli esiti più elevati raggiunti in Lion devours the sun (2006). Ma alla lunga il risultato stanca e l’impressione è che Sweet stia grattando il fondo del barile, un po’ sulla scia degli Xiu Xiu che da una decade sfornano ogni anno quasi lo stesso disco. Così How shadows chase the balance preso per sé può anche affascinare e ammaliare, ma confrontato con i dischi precedenti e soprattutto con la carriera di Elliott Smith non se ne comprende l’esistenza. Perché brani come Mission creep sembrano spudoratamente copiati a casaccio dopo aver ascoltato XO o Either/Or.

In aggiunta a ciò viene a mancare anche quella minima eterogeneità che si poteva trovare in Lion devours the sun, creando una netta dicotomia tra brani semplici, volutamente abbozzati e tendenti a una litania disperata accompagnata da un arpeggio appena accennato (I can't see a thing in here, Pitiful shadow engulfed in darkness, e il folk glaciale privo di speranza di Found on the bodies of fallen whales) e altri arrangiati in maniera più raffinata e meno radicale, in cui si possono ritrovare addirittura leggeri virtuosismi chitarristici (Quite when group, A spirit harness, Last glimmer on a hill at dusk).

Non sembra pagare del tutto neanche la scelta di insistere su pochi lunghi brani (quarantasette minuti bilanciati equamente tra otto composizioni) i cui buoni spunti vanno a perdersi in un mare magnum di melassa. In fin dei conti è probabile che lo stringato giudizio critico non renda merito al valore emozionale del disco, tuttavia non ci si riesce a togliere l’impressione di aver di fronte una lirica slegata da un minimo di originalità musicale. E questo non può non pesare.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Roberto Maniglio (ha votato 7 questo disco) alle 23:34 del 24 dicembre 2008 ha scritto:

Consigliato solo a coloro cui piacciono i ritmi lenti (slow-folk)

fabfabfab alle 18:19 del 27 dicembre 2008 ha scritto:

"sulla scia degli Xiu Xiu che da una decade sfornano ogni anno quasi lo stesso disco"

E due! Alessà, vuoi litigare? Lo fai apposta? Ritira subito quello che hai detto!

Alessandro Pascale, autore, alle 1:52 del 28 dicembre 2008 ha scritto:

oh meno male che qualcuno coglie le mie provocazioni! )))

che ci posso fare? A me gli xiu xiu dopo i primi 3-4 dischi mi stanno decisamente sullo stomaco. Poi per carità i primi per l'appunto grandi dischi, per carità ma quando uno continua a cantare da disperato aspirante suicida e poi la franca per una decade c'è qualcosa che non va. non dico che si deve ammazzare però almeno la pianti di fare il baudelaire di turno che sennò diventa poco credibile

target (ha votato 6 questo disco) alle 17:57 del 18 aprile 2009 ha scritto:

Migliore del precedente, meno intontito. Ma ha poco pure questo di davvero memorabile. Nel genere, c'è di meglio in circolazione.