R Recensione

7/10

DM Clark

Neighbourhood Spook

Allora poteva sembrare ardito, ma a due anni di distanza lo posso dire: l’ep autoprodotto “Moors” che Clara Kindle, ossia l’‘87 inglese Daniel Michael Clark, ha pubblicato in 30 copie fatte in casa nella primavera 2009 è tra le cose più intense in ambito folk-DIY-da cantine degli ultimi tempi. Scuro, umido, ossessionato da loop spettrali e da tonfi legnosi, era un disco dal potenziale evocativo altissimo (quell’arte che stimola a crearne, dirne, farne), un mix di cose tanto vecchie quanto modernissime (tipo Boduf Songs meets Forest Swords), che adesso peraltro tirerebbe assai. E che in certi posti di nebbie e depressioni – piccola parentesi – tirava già allora, se 3 delle 30 copie sono finite, attraverso percorsi indipendenti, in case del nostro nord-est (Tv, Pd, Vi). Ora, finalmente, quelle dieci «personali apocalissi», come le definisce l’autore, si possono sentire sul web (qua).

Intanto il ragazzo, già collaboratore dell’altro grande bardo del dark di nylon inglese, Birdengine, torna con un seguito dal titolo “Neighbourhood Spook”, sempre autoprodotto ma stavolta distribuito solo su cassetta, e col suo vero nome. Il clima, rispetto a “Moors”, è cambiato: le tinte cupe si sono schiarite, le interpolazioni elettroniche diradate, e gli sgocciolii del seminterrato sono diventati pioggia vista dalla camera. Gli otto pezzi sono lo-fi oltre il lo-fi, esplicitamente confezionati a casa, anche perché della casa, e del suo recinto assieme protettivo e reclusivo, parlano: si parte con “Tunnel Face”, breve canto funebre cubista, spezzato in due tempi da una cesura rasoiante a metà pezzo, e si finisce con l’inno intimistico di liberazione “Feeling Much Better Now Thank You”. Come una redenzione: dal tunnel all’open air.

In mezzo incidono, piuttosto che gli schizzi claustrofobici, un po’ troppo tirati via (“I Wish U Moved”, “Walk Through Walls”), alcune inattese perle di folk mattutino appena sussurrato, da “Smokehaus”, visione domestica su ninne-nanne di elettrica, a “Shut Eye”, tra arpeggi introversi e sfoghi ruvido-casalinghi con overdub vocale. La title-track è il pezzo più lavorato (percussioni, organetto, samples di urli), e ricrea l’inquietudine del vicino violento sentito attraverso i muri in modo efficacissimo, rendendolo pop (noir, ovvio): bel pezzo (qua), che si sfoga nel finale da danza macabra. Per dire che questo ragazzo, che nella copertina si sovrappone e confonde alle foglie morte, ha un occhio sulle pieghe nere del quotidiano (è anche fotografo e illustratore) che lascia il segno.

È atteso a breve un nuovo split tra Clark e Birdengine. Qui lo si dice da un po’: occhio a questi due.

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