Mojomatics
Don't Pretend That You Know Me
Lagunari yè-yè.
Ne sentivamo la mancanza, dei Mojomatics, anche se, forse, nessuno lo ammetterebbe di diritto. Trascinanti, coinvolgenti, dal suono sporco e retrò, capaci di grandi cose, pur disponendo delle sole chitarra e batteria, a partire dal bellissimo Songs For Faraway Lovers del 2006, fra garage, proto-punk, blues. In una parola: rocknroll. Quello di un tempo, che non ha mai perso attrattiva. Aggiungeteci un fiero made in Italy sulla grancassa, ed avrete la ricetta vincente che fece guadagnare ai due veneziani consenso di critica e pubblico. Come se gli anni 60 non fossero mai passati.
Ed eccoli, sempre loro, impeccabili nei loro smoking bianchi, ritornare a distanza di appena ventiquattro mesi, con la consueta energia ed un nuovo disco, Dont Pretend That You Know Me, che cerca di convivere col suo predecessore nel modo più naturale possibile, possibilmente con una continuità qualitativa che spesso gli ampi consensi possono smussare. Tranquillizzatevi subito, voialtri, che eravate già saltati in piedi dai vostri comodi divani per paura di unennesima, eccellente dipartita: il fulcro del disco è semplice, minimale, ed ancora, incredibilmente affascinante.
Attitudine punk? Sì: dodici pezzi, dei quali solo due superano i canonici tre minuti. Minutaggio totale: trentuno. Aggiungiamoci pure che il suono è più veloce di un tempo, pur non risultando aggressivo. Radici blues? Eccome, ora più che mai: riff diretti, pieni, melodici, profondi. Forse gli impolverati andanti roots si sono un pochino accomodati su soluzioni più accessibili. Il che non significa che il lavoro scorra su binari annoianti. Prevedibili, magari, in parte. La prevedibilità, però, sarà lultimo fattore di cui terremo conto nella valutazione finale del disco, viste le influenze certo non innovative.
Diventa poi ancora più difficile rimanere impassibile di fronte a pezzi come Wait A While, sfrenato boogie punknroll genuino e contagioso, o il blues elettrico di Askin For A Better Circumstance, che sembra uscito dritto dritto dal glorioso delta del Mississippi, orecchiabile ed avvincente ad un tempo. Il ticket, poi, viene obliterato con maggior forza e convinzione da unironica You Are Not Me (Unfortunately), ruvida e veloce, che costituisce di fatto il lasciapassare decisivo per il resto del lavoro.
Curioso notare come, sebbene gli episodi meritevoli abbondino qua e là nel disco, questi siano presenti in maniera sensibilmente minore nella sua seconda parte, condita solo a sprazzi da idee realmente fresche e godibili. Stride un pochino il contrasto fra una semi-ballata pulsante ed essenziale, dal giro di chitarra morbido e ficcante (Complicate My Life), coi groove a vuoto della conclusiva Winter Got No Eyes, garage sanguigno, ma un po sbiadito e messo a dura prova dallo spettro della ripetitività. O ancora, la poco incisiva Down My Spine, dalle atmosfere facili e dichiaratamente FM, scompare sotto la fragranza country che si sprigiona da Stars Above, che fra le mani dei veneziani ringiovanisce a tal punto da somigliare ad una nuova colonna sonora del Duemila. Come ottimo è il punk disimpegnato, schiacciato in unottica rockabilly, di She Loves, il momento più vibrante del cd.
Umani scivoloni a parte, mi ricorderò a lungo di Dont Pretend That You Know Me specialmente per la doppietta dapertura Miss Me When Im Gone e Clean My Sins, che alterna lrnr più tirato, con tanto di armonica a bocca spudoratamente dylaniana (leggasi, questo, come un pregio!) ad un folk rock spigoloso e poco incline ai compromessi. Ed annotiamo, sul tutto, lottima pronuncia anglofona della voce principale.
Per chi non ha avuto ancora questa fortuna, consiglio certamente lintegrazione di Dont Pretend That You Know Me con la presenza ad uno dei concerti live dei Mojomatics. Unesperienza che vi farà tornare indietro nel tempo, pur rimanendo saldamente ancorati al presente. Ed alla fine, ne sarete contagiati. Come direbbe qualcuno di famoso: Its only rocknroll, but we love it!. Sapete che ha proprio ragione?
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