R Recensione

4/10

Von Bondies

Love, Hate and Then There’s You

Credo che ci sia un unico valido motivo per cui una persona dotata di un minimo di buon gusto possa prendersi la briga di ascoltarsi un disco dal pessimo titolo quale Love, hate and then there’s you. Il motivo è che il disco in questione è stato realizzato dai Von Bondies, ossia quelli che in un ormai remoto 2001 diedero alle stampe uno dei capolavori del garage-rock di questa decade, quel Lack of Communication che per un momento sembrò davvero essere un incredibile trait d’union tra White Stripes, Stooges e Mc5.

Un gioiello dimenticato troppo in fretta, tra le massime espressioni di quella che all’epoca (inizio ‘00s) era un’ondata revivalista-rétro davvero notevole nella sua classicità (White Stripes, Black Keys, Kills, Strokes, BRMC, Vines, ecc.). Poi qualche anno dopo ti svegli, ti getti un secchio d’acqua gelida in faccia, ti spari due caffè per endovena, accendi il computer e scopri che i Von Bondies hanno realizzato il tanto atteso seguito, Pawn Shoppe Heart (2004). E nonostante ci fosse già un certo “vissuto musicale” che avrebbe dovuto mettere in guardia, la delusione per quello che era chiaramente un disco di plastica fu tremenda. I Von Bondies non erano i nuovi Mc5. Non erano i nuovi White Stripes. Per diana non meritavano nemmeno più di essere accostati a band cazzerellone ma simpatiche come i Black Lips! In fondo non c’è da stupirsi se Jason Stollsteimer si sia beccato all’epoca pure una bella dose di mazzate da Jack White, che forse ci teneva a ribadirgli di persona che in effetti no, i suoi Von Bondies non erano proprio gli eredi dei White Stripes, e che lui a lavorare sulla produzione dei suoi lp non ci sarebbe stato più…

Così l’energia heavy-heavy-blues diventò un guitar-pop con tanto di coretti femminili, appena slabbrati da qualche feedback buttato qua e là. Si salvava giusto il singolo C’mon c’mon (di cui ricordo un video affascinante quanto probabilmente costoso) e poco altro.

Ricordo tutto questo con molta nitidezza, eppure oggi a risentirlo quel Pawn Shoppe Heart non sembra così tremendo come allora. Un po’ pacchiano, con qualche assolo di troppo, meno immediato e ruvido, è vero, però ascoltabile, e in fondo non peggio di molti gruppi di teenagers che si sono succeduti nel frattempo.

In ogni caso Jason deve aver capito di aver fatto un fiaschio tremendo se ha impiegato cinque anni per realizzare il terzo fatidico album della verità. Ed eccoci quindi tornati al punto iniziale, ossia il pessimo titolo Love, hate and then there’s you.

Disco che non parte neanche malissimo con la tirata This is our perfect crime e l’accattivante Shut your mouth, che non è poi tanto distante da cose come Bravery e tardi Interpol. D’altronde se già tali riferimenti possono dare disturbi di stomaco i problemi spuntano presto fuori con ancora maggiore enfasi: emerge nitida la patina glam-rock in stile The Apes (per carità non scomodiamo mostri sacri come i New York Dolls) di brani pomposi e pretenziosi come Only to haunt you e Earthquake. I simpatici riff che emergono qua e là (Pale bride, 21st birthday) non riescono poi a mascherare una fastidiosa impressione di déjà vu, scopiazzando qua e là tra Nirvana (I don’t wanna), Black Keys (She’s dead to me, dopo una partenza però in pieno stile Smell like teen spirit!) e dio solo sa quanti gruppettini garage-indie-rock a me ignoti.

Ma quel che appare più inquietante è l’ormai consacrata perdita di ogni elemento non dico rabbioso, ma perlomeno sincero, che porti a un feedback non totalmente gratuito e fine a sé stesso. Guitar pop per adolescenti insomma (Chancer), ma della peggior specie, in grado di impensierire college-band come i Kill the Young, tra scritture semplificate e suoni ultra-patinati. Aggiunteteci dei coretti femminili, qualche na-na-na-na vocale, e un’atteggiamento ormai marcatamente indie (Accidents will happen è la brutta copia di un brano solare degli Okkervil River; Modern saints gode di un cantato degno del Pete Doherty più ubriaco che mai) e avrete uno splendido cadavere lustrato a dovere dalla Majordomo Records.

Per diana, qualcuno chiami al più presto Jack White e gli ingiunga di terminare al più presto il lavoro iniziato un lustro fa!

   

V Voti

Voto degli utenti: 4,3/10 in media su 3 voti.
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target 4/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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target (ha votato 4 questo disco) alle 11:12 del 7 febbraio 2009 ha scritto:

Non mi sono tirato un secchio d'acqua gelida in faccia, ma il disco fa veramente schifo. Rubo al mio cuginetto il commento più adatto: cacca. Ale in forma.

otherdaysothereyes (ha votato 5 questo disco) alle 18:58 del 10 febbraio 2009 ha scritto:

Sarò telegrafico: tutto giusto. Disco scialbo e piatto. Sostanzialmente inutile.