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R Recensione

7/10

Anima Popolare

Ballata del re

Gli Anima Popolare vengono dal Molise, terra poco conosciuta eppure affascinante, una sorta di Abruzzo in miniatura. La line up, costituita da Giuseppe Di Pilla (voce, pianoforte, fisarmonica, fiati e chitarra classica), Andrea Antonilli (chitarre elettriche, acustiche, classiche e cori) e Giovanni Ciccorelli (violino e cori), si occupa di ibridare il classico folk italiano col rock, inteso in tutte le sue sfaccettature che vanno dal virtuosismo al reggae (loro questa miscela la chiamano rokkenfolk). “Ballata del re” è il primo vero disco della band isernina, sempre occupata nella dimensione live, e si presenta come una fotografia di questo modo d’essere. Proprio per questo si possono applicare due diverse chiavi di lettura a questo disco. La prima è quella leggera e spensierata del concerto dal vivo, ballando come forsennati grazie al grande talento strumentale degli Anima Popolare, magari dopo aver alzato il gomito. La seconda interpretazione è più seriosa, inerente la dimensione autorale, dato che i testi sono molto curati e rimandano al tipico retroterra culturale del meridione d’Italia, tra ancestrali ostacoli mentali e un’innata voglia di libertà, troppo spesso tradita. Sovrano regna comunque l’amore, cercato, abbandonato, agognato, perduto.

Il disco si apre infatti con “La vita di chi canta”, divertissement fatto per ballare e sudare, per proseguire sul suadente funk di “Mai”, e fin da subito gli Anima Popolare inneggiano alla musica come utile rimedio per i mali italiani, che poi sono sempre gli stessi: malgoverno, indifferenza, populismo e irrispetto. Meravigliosa “Occhi dispersi e persi”, forse il miglior brano del disco assieme a “Maddalena”, dall’andamento latineggiante, con un testo che rimanda all’immaginario cinematografico delle donne. Molto godibile anche “Natale sotto ‘o lietto” con un infuocato Ciccorelli al violino trainato dalla velocità delle batterie di Ivan Messere. Proprio in quinta posizione troviamo “Maddalena” che, simile al personaggio biblico, tratteggia la donna del privato piacere e della pubblica gogna; il merito musicale del brano sta anche nelle percussioni di Tonino Conte e nei fiati del Di Pilla. Arriva pure il gipsy jazz con “La ballata de lu re” e la chitarra di Andrea Antonilli intona un manouche alla maniera di Django Reinhardt. Nell’unico brano cantato quasi esclusivamente in italiano, “Nei giorni del successo”, la dimensione autorale diventa poesia tanto che: «La bocca assaggia ancora il sale della vita, / si pensa sempre al meglio ma essa è gia finita. / La stanza ha quell’odore del tempo ormai scaduto / e la giustizia ha un velo sul volto mai svelato». Perfetta la costruzione ritmica di “Milù” in un susseguirsi di percussioni e chitarre, col basso di Mariano Antonilli bene in evidenza, regalando ad ogni ritornello folate di violino, che nella coda del brano diventano una vera tempesta. Il folk ironico, anzi sarcastico, che abbiamo ascoltato all’inizio di “Ballata del re” torna con “Virush”, e gli Anima Popolare tornano a farsi sentire contro i politicanti di mestiere che del ricambio generazionale non vogliono nemmeno sentirne parlare. Prima della versione sfacciatamente reggae di “Mai”, la band molisana ha tempo per regalarci l’ultima romantica ballata rock, “La notte degli amanti”, struggente e malinconica.

Il sound degli Anima Popolare è immerso nella campagna, nei viaggi, nella vita di provincia, nei tratturi di montagna, nel rock, nelle tradizioni di una terra e nelle sue possibili contaminazioni, perché una cultura non ha futuro finché non ne incontra un’altra. La musica targata Anima Popolare è bellissima all’orecchio e spero vivamente che dopo “Ballata del re” il loro futuro sia totalmente diverso da quello del Paese in cui vivono.

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