R Recensione

7/10

Art of Wind

Art of Wind

Art of Wind è un songwriter, alla seconda uscita dopo The Boy, The Wolf and The Old Riverland Trees, piccola gemma sconosciuta del 2008. Questo disco non ha titolo, infatti come spiega lo stesso Art of Wind: ”Non ha un titolo… Solo canzoni… Diciamo che siamo diventati un tutt'uno e che quindi The Art of Wind era ed è l'unico nome possibile da dargli... Questa è la sua storia… Dunque non ha un titolo perchè è stato scritto nell'arco di circa due anni... Tanti mesi e tanti giorni, quindi anche tanti cambiamenti, perciò il filo conduttore fra i brani sono solo io… Quindi The Art of Wind ancora … Tutti racconti sul fiume… Un fiume nero con tutto quello che si porta dietro e dentro, chi ci abita attorno e chi ci annega, chi lo racconta e chi lo rinnega… Storielle di amori e di viaggi, tutte scritte con la testa lungo le sue rive… È nato tutto da qui, perchè dove sono nato io è davvero tutto qui”

Canzoni scritte in riva al fiume e registrate alcune in cameretta con arpeggi in punta di dita altre in studio di registrazione dove spuntano altri strumenti ad accompagnare le note diradate della chitarra.

È l’essenzialità a colpire, non mancano di nulla queste canzoni, ma niente è superfluo.

Storie piccole della provincia, universali nel loro parlare di vita.

Melon Seed Blues è un blues pre-war nell’andamento ritmico della voce accompagnata dalla chitarra dalla ritmica costante e monocorde a simulare la strada percorsa, ad aggiungere un po’ di zucchero ci pensa una delicata chitarra elettrica. Si parla di strada e di morti proprio come nei vecchi blues però c’è ironia “Hey you with your guitar what do you think you are? / so don’t try to be like Johnny Cash / you’d better go home” e al posto della sconfinata america c’è la pianura padana.

Purple She è una storia d’amore leggera, cullata dal ritmo delle percussioni e da handclapping, racconta di prati, colline e stazioni trasmettendo un buonumore contagioso.

Jupiter’s Nocturne è un quadretto sull’amata dormiente, strutture ripetute ed incastrate una nell’altra, culla con un andamento soffice.

Home è una intensa canzone sulle distanze, spaziali e temporali, inizia quieta con un cantato quasi sussurrato e le note soffuse della chitarra, poi si aggiunge un’altra chitarra e la voce prende coraggio, non resta che lasciarsi trasportare dal fluire del suono.

Walking Beside You è una nocciolina folk molto zuccherosa.

Angel è pop della miglior specie, chitarra e batteria ritmate mentre si raccontano notti lunghe e mattine brevi.

Seven Ghosts and Marion raggiunge una delle vette del disco. Due voci, maschile e femminile, cantano all’unisono di paure lasciate fuori dalla porta e di gesti delicati “you brought flower cinder and bells / to save my old father left alone in my desert town”. L’arrangiamento è più corposo, pennellate di altri strumenti aumentano la bellezza del quadretto.

A chiudere The Lonesome Boy, un brano di pieni e vuoti, note di chitarra allungate e speranze “I got no more love to win… But I’ll do”. Una canzone che si fa strada ed entra dentro già dal primo ascolto, una gran bella canzone.

Un disco alla maniera di una volta, una raccolta di canzoni, semplici, capaci di trasportare nel mondo di chi le ha scritte e suonate, capaci di farci compagnia.

Si possono vedere le distese di campagna con il fiume che le attraversa e qualcuno seduto ad osservarlo, sedetevi a fare compagnia al ragazzo solitario.

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