Dawn Landes
Fireproof
Voce delicata, soffusi accordi di chitarra e arrangiamenti minimali. La truppa di giovani cantautrici si infittisce. Dawn Landes, già in circolazione da qualche anno, ora prova a fare sul serio con una riedizione del suo secondo disco. Il risultato è gradevole, senza essere memorabile.
La Landes si inserisce con sicura consapevolezza (e magari un pizzico di furbizia) in un mare magnum che vede senz’altro in Cat Power il faro principale: l’influenza della signorina Marshall qui è lampante, accanto a quelle di esperienze donnesche più recenti (Joanna Newsom, Feist, St. Vincent, la Shannon Wright chitarrista, Essie Jain) che costituiscono da qualche anno un carrozzone decisamente gagliardo. Quello giusto al quale mettersi al traino.
La ragazza del Kentucky, in compenso, appare ancora indecisa su quale cifra stilistica adottare. E così “Fireproof” ci arriva dimidiato tra un’attitudine estrosa e una tendenza intimistica, tra sequele melodiche slegate e introversioni malinconiche, tra pose eccentriche e semplicità disarmanti, con un carattere bifronte che sembra dovuto a una residua acerbità piuttosto che a un voluto eclettismo. Sta di fatto che a me la fanciulla risulta più convincente nella veste crepuscolare, maggiormente sviluppata nella seconda metà del disco, tra fingerpicking e toni sommessi.
Non male, certo, alcuni episodi dalle fattezze sbilenche come “I Don’t Need No Man”, “Private Little Hell”, col vibrafono a disorientare il ritornello già sbilanciato dallo sdoppiamento delle voci, o la sfaccettata “Picture Show”, tra twee e dub, e poi root-rock con chitarra cacofonica. Ma la zona più schiettamente folk del disco, a confronto, brilla: così la limpida “Tired Of This Life”, o “Twilight”, il cui delizioso crescendo dal sapore country ha sfumature piacevolmente on the road. Gradevolissima “Kids In A Play”: chi aveva detto che le canzoni più belle sono costruite con due accordi? In ogni caso, eccone una.
La voce carezzevole di Dawn non deve trarre in inganno. La ragazza ha squarci lirici persino duri (“It’s hard to breathe in this city, it’s easier to drink”, così l’esordio dell’intensa “Dig Me A Hole”), che creano a tratti un notevole urto con gli arpeggi morbidi e i cori in falsetto, anche se poi non indugia a scoprirsi in momenti di sentimentalismo spinto, come nella pseudo ninna nanna “Goodnight Lover”. Più melodiche “I’m In Love With The Night” (che bello l’attacco mugugnato alla Sinead O’Connor!), con armonica al seguito e atmosfera da luci basse, e in chiusura “You Alone”. In coda si nasconde una breve versione fantasma di "I Won't Back Down" di Tom Petty: svolazzo imprevisto ma, come direbbe Giusy, assai gradito.
Quando la Landes avrà deciso con più convinzione la sua strada, saremo entusiasti di seguirla. I buoni spunti di questo lavoro, intanto, lasciano ben sperare che un’altra fanciulla stia per salire nel carrozzone giusto.
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