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R Recensione

7,5/10

Jordaan Mason and The Horse Museum

Divorce Lawyers I Shaved My Head

Jordaan Mason è un canadese che somiglia a Devendra Banhart ma suona come Jeff Mangum posseduto da Colin Meloy. Che non è poco. “Divorce Lawyers I Shaved My Head” esce dopo un paio di lavori pubblicati in solitario ma senza riscontri significativi e dopo la promozione di una colletta al fine di raccogliere i denari sufficienti per tornare sul mercato (sotto, peraltro, un’etichetta di sua proprietà). Tre anni di lavoro, con l’aiuto di quasi una ventina di strumentisti (tra cui membri di The Hidden Cameras e Sarah D.) soprannominati per l’occasione The Horse Museum, hanno permesso a questo freak di Toronto di aprire un’altra sorgente di folk corale e colto da tenere a portata di orecchio.

La dichiarata natura concept del disco e il suo spessore letterario rimandano a Neutral Milk Hotel e The Decemberists in modo smaccato. I primi, in più, si impongono chiaramente fin dal pezzo d’apertura come principale modello musicale, tanto che in alcuni passaggi si può parlare di citazionismo esibito: l’uso quasi onnipresente dei fiati, l’utilizzo calibrato della sega ad arco, il sound casalingo e raffazzonato, la voce nervosa e scomposta del leader fanno dell’arruffato ensemble di Mason una proiezione della band di Mangum aggiornata agli Arcade Fire, in un vero trionfo di orchestralità sghemba e ubriaca (banjo, flauto, clarinetto, fisarmonica, violoncello, tromba, trombone, organo, xilofono, tamburo) sopra percussioni selvagge e fantasiosamente spartane.

La voce di Mason è scorretta, acuminata, priva di qualsiasi eleganza. Non possono esserci malinconia o dolcezza, ma solo disperazione e foga. È un elemento che da solo basta a spostare versi gli estremi l’intera proposta artistica della band, tanto che gli strumenti spesso si adagiano sullo sfondo senza invadenze, anzi, quasi fosse loro demandato di smorzare i toni; così funzionano gli spesso deliziosi intervalli strumentali (“Prayer”, favola con clarinetto; “Hymn/Her”, apice poetico del lavoro, minimale ed evasiva nelle note alte del pianoforte accarezzate da una tromba soltanto sussurrata). Il primo piano riservato alla voce è evidente, invece, in un pezzo scarno come “O Jarhead! O Head!”, che è un po’ (mutatis mutandis) la “Oh Comely” del disco, o in “Racehorse: Get Married!”, dove la coralità spinta cancella quasi l’arpeggio di fondo.

Dove gli strumenti prorompono sulla scena è nei finali, spesso costruiti sul trionfo degli ottoni: in “Bird’s Nest” e “The Wrong Parts (Vivian Sisters Singing)” si assiste a due esaltanti marcette nuzial-funerarie balcaniche tra Kusturica e sperticature klezmer à la Beirut; “_____is water”, poi, col suo ritmo alto trascinato da violoncello, trombone, fisarmonica e accordi ombrosi, si sbozzola come un gioiello di folk corale di alta scuola. Sicché questa storia di un matrimonio e della sua fine, che passa attraverso visioni abnormi («my mouth is filled with his ovaries») e racconti di corse di cavalli, in un tessuto testuale volentieri sconnesso e simbolico, specchia benissimo la frenesia della musica, e rilancia come trottole ciascuno nella propria storia individuale: “Organs For Oceans”, con i suoi cambi di ritmo scanditi da chitarra e fisarmonica, esibisce il lato schizofrenico, mentre “(S)mother” e “1990 Was a Long Year and We Are All Out Of Hot Water Now” assumono spettralità dalla sega ad arco.

Se ne esce scomposti e ricuciti come un vestito vecchio. Sicché, se non fosse per qualche indugio di troppo nel ciclostile Neutral Milk Hotel che fa calare il grado di autenticità, il disco saprebbe arrivare in profondità, dove raramente si arriva. Da provare: dal divorzio potrebbe nascere l’amore.

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Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 2 voti.
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Loryshady 8,5/10

C Commenti

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fabfabfab (ha votato 7 questo disco) alle 18:22 del 24 giugno 2009 ha scritto:

Bellissimo disco. Folk disperato e straccione. La voce alla lunga diventa fastidiosa, ma si diceva cosi' anche dei Decemberists...