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R Recensione

7/10

Patrick Watson

Adventures in Your Own Backyard

Farsi bastare, trovare se stessi in quotidiane normalità. Nei cortili di Montreal declinare visioni e suggestioni, con pervasività evocativa, in musica - via un sound dalle fondamenta folk, e dall’indiscutibile piglio baroque e art/alt. Ciò, con classe e genuino senso estetico, attraverso il filtro impostato dagli scorci di una terra, quella canadese, tra le assolute protagoniste dell’indie folk/rock degli ultimi dieci anni.

Giunti alla quinta uscita discografica, “Adventures in Your Own Backyard”, il presupposto da cui sono partiti Patrick Watson e la sua band (ché di band si tratta: Simon Angell alla chitarra, alle pelli Robbie Kuster, Mishka Stein al basso, e appunto lo stesso Watson cantante, pianista e tutto fare) è stato quello di creare  <<qualcosa di realmente melodico. Qualche cosa che, non appena lo ascolti, ti mette la pelle d’oca>>, nonché ampliare, con sobria estrosità, la portata di un songwriting ancora una volta ispirato (forse, senza scomodare “Close to Paradise”, vincitore in patria del Polaris Music Prize 2007 – su nomi altisonanti e non: Arcade Fire,  Feist, The Dears, Junior Boys; Miracle Fortress, Chad Van Gaalen, The Besnard Lakes).

Dimostrazione n’è la magia, sul nulla di una linea di piano, e in un crescendo riversato nello sbocciare di un risveglio morriconiano, della opening “Lighthouse” (<<won’t you shine a little light, in your own backyard?>>). O nella scrittura all’osso a base di piano di “Words in the Fire” e “Quiet Crowd”, in cui, in ordine, spiccano la lucente coloritura cristallina degli arpeggi e un cantato educato ed espressivo. Cantato, peraltro, talmente ispirato che pare riunire, sotto lo stesso tetto, la classicità senza tempo di un artista come Nick Drake, e i falsetti ‘epici’ di Peter Silberman (The Antlers) e Thom Yorke.

Ed è immersione completa nell’eterogeneità melodica, degli arrangiamenti (Rufus Wainwright) e delle soluzioni di questo nuovo disco: così, se “Step Out of The While” trova la sua ragion d’essere in una ritmica cardiaca (Villagers) e in una chitarra elettrica (ottima anche in “Morning Sheets”) alticcia, in “Blackwind” ci si ritrova ad oscillare in compromessi di armonia dreamy e wall of sound. E ancora: brilla la quieta tensione pianistica e degli archi (Fanfarlo, Arcade Fire) di “Strange Crooked Road”; lambisce lo scorrere denso di ebbrezze mexican/western della title track, nonché le coloriture folkloristiche di “Into Giants".

Lavoro intenso "Adventures in Your Own Backyard", ricco di bei momenti. Anche lungo - e che per questo presenta qualche calo nella tenuta d’insieme - ma che soddisfa per larghi tratti, lasciando inalterata (o, in estremo, enfatizza) tutta la classe di Watson e compagni.

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Voto degli utenti: 7,7/10 in media su 6 voti.
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Teo 7/10
Wrinzo 9/10
motek 7,5/10

C Commenti

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crisas alle 0:51 del 29 maggio 2012 ha scritto:

Stavo apprezzando ad occhi chiusi Lighthouse, anche se non amo il suo ondeggiare sui falsetti. Poi si è materializzato di colpo Sergio Leone e li ho riaperti.

salvatore (ha votato 7 questo disco) alle 11:15 del 29 maggio 2012 ha scritto:

Patrick Watson l'ho conosciuto proprio grazie a te Mauro,quando ne parlasti sul forum (sono un ignorantello, ma vabbé...) Da allora, l'ho ascoltato tantissimo, conquistato da cotanta delicatezza.

Mi piace smisuratamente il suo modo di iniziare "sotto voce", per poi gonfiare la canzone di stratificazioni strumentali e vocali. Sotto quest'ottica, "Adventures in Your Own Backyard" (che bello il titolo e la copertina e questa idea che ci sia un mondo da scoprire subito intorno a noi, un'avventura tutta intima e personale da affettuare) mi ha ricordato dei Polyphonic Spree che cercano di non eccedere troppo, e un disco meraviglioso (per il timbro vocale del cantante, oltre che per le soluzioni musicali) uscito qualche anno fa, ma passato piuttosto inosservato: Sleepdrunk seasons degli impronunciabili Hjaltalin. Piccolissimo limite, una certa ripetitività che ti impedisce di apprezzare gli ultimi brani, quanto i primi (nonostante il livellodi ispirazione che si mantiene costante dalla prima all'ultima nota). "Quiet Crowd" (la mia preferita) è davvero un piccolo capolavoro di intimismo!

hiperwlt, autore, alle 11:28 del 29 maggio 2012 ha scritto:

vedrò di recuperarlo, "sleepdrunk seasons" sì, la lunghezza del disco dà svantaggio a molti pezzi della seconda parte (che, comunque, regala un pezzo ibrido e splendido qual è la title track). e poi vero Sal, la gestione 'dinamica' (ma composta) ed emotiva dell'interpretazione vocale è davvero uno dei punti forte del disco (se non il) ! ps: io dico "lighthouse"

REBBY alle 10:10 del 23 gennaio 2013 ha scritto:

Rispetto ai 2 precedenti (specie Wooden arms) mi è sembrato un album cantautorale più "normale" (meno creativo ed originale), che ricorre ad arrangiamenti ripetutamente già sentiti in questi ultimi anni (come, ad esempio quelli tex-mex, morriconiani, beirutiani,...). Lo stesso, concordo con Mauro, è un disco "ricco di bei momenti" (Lighthouse, Step out for a while e la title track i miei preferiti), pur se presenta "qualche calo nella tenuta d'assieme" (come dice Sal, anche un po' troppo lungo e ripetitivo). Godibilissimo comunque per chi apprezza la sua splendida voce.

Jacopo Santoro (ha votato 7,5 questo disco) alle 14:55 del 23 gennaio 2013 ha scritto:

Le preferite: "Lightouse", "Blackwind", "Noisy Sunday" e traccia omonima. Un Patrick Watson come sempre ispiratissimo.

Wrinzo (ha votato 9 questo disco) alle 3:45 del 4 luglio 2013 ha scritto:

Io invece l'ho trovato di notevole bellezza. Sarà che le sonorità mi sono particolarmente affini. 9 meritato.