Patrick Watson
Love Songs For Robots
Filtra un po di luce, dalla finestra, sono maestose le Alpi al di là del vetro, i colori bruciati dellautunno che crepa. E poi, bruscamente, ho capito chera domenica. Era là, sugli alberi, sui prati, come un leggero sorriso. Così Sartre scrive in quel libro universale che è La nausea; così io penso, osservando le montagne francesi accese dal sole, dal tiepido sole di dicembre. E penso a quella canzone immensa che è Noisy Sunday, una delle ultime del disco precedente di Patrick Watson: send you my love in the sound, diceva, ricercando il rumore - il rumore dei sentimenti - nel silenzio di una giornata calma, come calma sa essere solo la domenica.
È questo lo spunto per riprendere in mano Love Songs for Robots, uscito a primavera e suo quinto lavoro con una band, un decalogo di pezzi in quasi totale continuità con il Watson precedente. Stessi sono i colori (tanti, colori, anche nei testi). Stessa è la dolcezza, la stravaganza, la carica tremolante (in Circles, breve e filmica colonna sonora), lepica (in Turn Into the Noise, portentosa cavalcata). Stessa è anche lesagerazione, la tendenza ad abbondare di rifiniture fino a implodere, come in Bollywood, che parte bene, poi si perde nel marasma finale. Stesso è lessere sbilenco, imprevedibile: caratteristica, questa, che aveva portato Watson alla ribalta con Close To Paradise, nove anni fa vero album spartiacque.
Dal titolo, o dalla copertina, si penserebbe a un massiccio uso di elettronica: per i robots si crea invece un miscuglio di anime che richiama di certo un aspetto più freddo, ma solo qua e là, come sporadiche pennellate. Il canadese dal cappello sempre in testa non abbandona il prog a lui tanto caro, variando di mood, tempo e tonalità allinterno del medesimo brano; né abbandona la chitarra acustica strutturando pezzi che scivolano un po modesti (Alone In This World, Grace), o più briosi e riusciti, nel ricordo dellultimo lavoro (Hearts potrebbe benissimo appartenere ad Adventures In Your Own Backyard, 2012). Tutto ciò con la capacità di chi plasma musica assai elaborata e che tuttavia riesce ad "arrivare", a piacere, fondendo la tecnicità alla delizia. E di meglio ci sono lalfa e lomega, cioè la title-track e Places You Will Go: il primo pezzo condito da un carinissimo assolo di chitarra finale, il secondo supportato da un ritmo folgorante, simpatico dal primo ascolto.
Una marea di dettagli che talvolta si fatica ad assorbire. In questa marea, Patrick Watson regala comunque un'altra colorata traversata, un altro suo viaggio. Con le Alpi maestose al di là del vetro, nella stanza circola così il solito e per nulla elementare, Watson. E la domenica si fa quasi rumorosa, e migliore, come quella che lui auspicava tre anni fa.
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