R Recensione

7,5/10

Potion

Parallel Worlds

Con i Potion siamo di fronte a un duo che si compone di una semplice tastiera, suonata da Annie Maley, e una ancor più semplice chitarra, tra le mani di Michel Bedoya, a disegnare le linee guida per le loro pure e nude voci. Parallel Worlds è un piccolo Ep di 5 tracce pop che non supera i venti minuti. Ma appena il disco parte, appena si ascolta la chitarra e la tastiera accompagnate dalla voce di Annie Maley e dettate da una lieve linea di percussioni, ci si accorge che i Potion sanno perfettamente il punto esatto verso il quale mirare per colpire l'ascoltatore, come avessero già una lunga esperienza musicale.

D'altronde i due Lp alle loro spalle, pubblicati nel 2001 e nel 2005, intervallati da un primo Ep nel 2003, sono l'origine della loro padronanza musicale, della sicurezza con la quale gestiscono l'impatto sonoro, senza tergiversare con alcuna inutile digressione. “Can't Pretend” è così un brano perfetto costruito su uno stile indie-pop con splendide sfumature folk: sotto gli accordi della chitarra si spandono degli effetti di archi distorti che assecondano i bending e le volontarie stonature delle corde suonate da Bedoya, dando l'impressione di ricreare l'eco indefinita di un'ambientazione anni Sessanta.

That Someone” è il brano che toglie qualsiasi dubbio dalla mente dell'ascoltatore: il ritmo delle percussioni permette alla voce di Annie Maley di aprirsi in un coro che fa riemergere la sacralità solare dei figli dei fiori, ricordando in maniera splendida e commovente la voce indimenticabile di Grace Slick. E allora cade l'occhio sulla città di origine dei Potion e ci si accorge che non è uno scherzo del caso se questa è proprio la San Francisco dei Jefferson Airplane e di tutta la rivoluzione hippy degli anni Sessanta.

Maley ha la stessa fierezza vocale, quella stessa lineare rigidità del diaframma che aveva Grace Slick e che le permette, come permetteva a lei, di far risaltare ogni acuto e ogni minimo accento di alterazione dalla tonalità classica. In “Leave me alone” Maley acquista un'eleganza jazzistica e la sua voce inserisce alle tonalità di contralto tutta l'orgogliosa e malinconica grandezza di Billie Holiday. La musica la segue, intima e quieta come sostenesse un pezzo soul, riverberando con un vibraphone a dilatare quella grancassa che simula il battito segreto di un cuore.

La stessa fiera eleganza vocale si ripresenta anche nell'ispanica “Lo Que Quieras”, un brano che nasce come un tango campionato alla Gotan Project per poi scivolare sui binari di una ballata che strizza l'occhio ai Calexico, scappando dalla lontana Argentina al Messico. Una breve fuga oltre il confine per ritornare poi alla materna San Francisco dove l'Ep va a concludersi con “Light”.

Ma è una città addormentata, forse alle ultime ore della notte, quando le prime luci dell'alba ancora sfocano al disopra di quelle dei lampioni: “Light “è un lento, dilatato cammino verso verso un nuovo giorno, verso quella città solare dove aleggia come un odore attraente l'ombra leggera di quella rivoluzione hippy che ancora lascia la propria eco sulle nuove generazioni.

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