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R Recensione

7/10

Real Estate

Atlas

Atlas”, o delle ambizioni soliste (sublimate) di Martin Courtney. È un’impressione, questa, che emerge a sorpresa durante il primo passaggio del nuovo Real Estate; e che però si certifica da sé con gli ascolti. Lead guitar, guida concettuale nel processo di ricerca, a tutto tondo: da qui, purtroppo, il ruolo in parte accessorio che Matt Mondanile sembra aver assunto in fase di scrittura - vuoi per gli impegni col suo progetto Ducktails, vuoi per una più banale accettazione stilistica data al nuovo corso. 

Una scrittura, quella del terzo disco dei jersiani, caratterizzata da un estro minore negli arrangiamenti e da un umore proiettato (devia "Crime") ben più omogeneo rispetto a quello di Days”. Sicché gli insight, quelli di Mondanile intendo, in qualche folata (su tutte, la strumentale "April's Song" al solito accreditata, le circolarità sognanti dell'instant classic “Talking Backwards”; la progressione e gli intrecci easy listening di “Crime” e il taglio country agreste, sulle prime à la Neil Young, di “Horizon”). Con la maturità, tolto il rischio: ma anche parte del fascino. Non una buona scelta il suo arretramento (laddove era pregio il normalizzarsi nei solchi del sophomore), a posteriori.

Detto ciò, e detto dell'ufficialità della formazione a cinque con Jackson Pollis (alla batteria) e Matt Kallman (tastiere), del nuovo disco si registra una produzione (da Kevin McMahonTom Schick - presso il Loft, lo studio dei Wilco a Chicago) che agisce sul sound (dapprincipio, anno 2009, lo-fi) trattando ancor più che in "Days" le chitarre jangle, immalinconendo uniformemente le trame da brughiera sconfinata, lavorando sull’opaco e restituendo un sole pallido ad alto dettaglio - anche nel cantato di Courtney, qui più espressivo. Si è puntato quindi alle sfumature, sulla definizione dell'estetica: che è alta, molto, ripensando alle origini - weird surf-folk DIY. Abbiamo così la stessa cura nei riguardi della melodia, l’attenzione all’asse pop (anche per melodia della voce, più complessa: si prenda "The Bend" e le già citate “Horizon”, “Talking Backwards” e “Crime”), quella certosina ai moti circolari di un guitar pop che, in “Atlas”, appare però più diluito che pressato ("Primitive"). 

La tradizione da cui dichiarano di attingere i Real Estate non viene snaturata (The Byrds, lo stesso Gene Clark, Grateful Dead, gli Xtc; ma anche Built to Spill, Wilco, Pavement, The Go-Betweens), bensì curvata ad un jangle pop che penetra simbioticamente con le atmosfere folk 70s di fondo. Atmosfere da crepuscolo, in un flusso da tenue primavera intorpidita e perché no romantica - l'effetto è dreamy, non più lisergico: ad esempio nelle eccellenze "Had to Hear" e "Talking Backwards". Ma il rischio, in questo placarsi, è una monotonia subito che diviene realtà in alcuni passaggi. Difetto, per compattezza, che non riguardava in alcun modo “Days” - tra i capolavori del 2011.

È un disco che si fa riascoltare, anche con una certa continuità, “Atlas”. Magari skippando, quando si rendono insostenibili certi punti morti (“Past Lives”, “Navigator”, "How Might I Live"). Il voto (7) è generoso; è compromesso dello stagliarsi degli episodi brillanti (8) sul resto (6). 

Occasione rinviata, per i Real Estate, di rendersi imprescindibili. Per ora restano necessari.

V Voti

Voto degli utenti: 6,9/10 in media su 4 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
bonnell 6,5/10
Cas 7/10
target 7/10

C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Cas (ha votato 7 questo disco) alle 12:37 del 7 marzo 2014 ha scritto:

non imprescindibili ma necessari. hai detto benissimo! un disco che non replica la magia di Days ma che risulta comunque piacevole, distensivo. certo, un peccato che, nel complesso, si debba registrare un arretramento. ma consideriamolo come una pausa per prendere fiato

d'accordo su tutta la linea dell'ottima recensione!

target (ha votato 7 questo disco) alle 18:44 del 7 marzo 2014 ha scritto:

Non è il disco che "Talking backwards" lasciava sperare. Ed è un disco a cui meglio si accorderebbe la copertina di "Days", anche in negativo, per la serialità in sordina dei pezzi (l'unico che si stacca, nel tono, è "How might I live", che è una specie di out-take dal disco di Alex Bleeker). Restano, loro, una band con un'impronta inconfondibile; il che, in un genere tanto frequentato, è già qualcosa di miracoloso. Unica cosa: Mondanile, secondo me, continua a essere centrale, tanto che spesso sono i suoi giri, più ancora che la voce, a "fare" le canzoni.

hiperwlt, autore, alle 19:23 del 7 marzo 2014 ha scritto:

Non so: continuo a credere che il disco sia centrato eccessivamente su Courtney. Concettualmente, negli umori, nella scrittura ecc. Nessun dubbio, poi, che i pezzi che fanno la differenza, e che fanno il disco, alla fine (personalmente, mi porto a casa solo quelli, come scritto), siano anche quelli in cui Mondanile riesce a esaltare il suo estro rendendosi quindi centrale. Estro e apporti in genere, dal mio punto di vista, messi un po' troppo a servizio.

Ps: thanks Matteo: qualche considerazione fatta tra noi in privato l'ho riutilizzata, come hai visto