Real Estate
Atlas
Atlas, o delle ambizioni soliste (sublimate) di Martin Courtney. È unimpressione, questa, che emerge a sorpresa durante il primo passaggio del nuovo Real Estate; e che però si certifica da sé con gli ascolti. Lead guitar, guida concettuale nel processo di ricerca, a tutto tondo: da qui, purtroppo, il ruolo in parte accessorio che Matt Mondanile sembra aver assunto in fase di scrittura - vuoi per gli impegni col suo progetto Ducktails, vuoi per una più banale accettazione stilistica data al nuovo corso.
Una scrittura, quella del terzo disco dei jersiani, caratterizzata da un estro minore negli arrangiamenti e da un umore proiettato (devia "Crime") ben più omogeneo rispetto a quello di Days. Sicché gli insight, quelli di Mondanile intendo, in qualche folata (su tutte, la strumentale "April's Song" al solito accreditata, le circolarità sognanti dell'instant classic Talking Backwards; la progressione e gli intrecci easy listening di Crime e il taglio country agreste, sulle prime à la Neil Young, di Horizon). Con la maturità, tolto il rischio: ma anche parte del fascino. Non una buona scelta il suo arretramento (laddove era pregio il normalizzarsi nei solchi del sophomore), a posteriori.
Detto ciò, e detto dell'ufficialità della formazione a cinque con Jackson Pollis (alla batteria) e Matt Kallman (tastiere), del nuovo disco si registra una produzione (da Kevin McMahon a Tom Schick - presso il Loft, lo studio dei Wilco a Chicago) che agisce sul sound (dapprincipio, anno 2009, lo-fi) trattando ancor più che in "Days" le chitarre jangle, immalinconendo uniformemente le trame da brughiera sconfinata, lavorando sullopaco e restituendo un sole pallido ad alto dettaglio - anche nel cantato di Courtney, qui più espressivo. Si è puntato quindi alle sfumature, sulla definizione dell'estetica: che è alta, molto, ripensando alle origini - weird surf-folk DIY. Abbiamo così la stessa cura nei riguardi della melodia, lattenzione allasse pop (anche per melodia della voce, più complessa: si prenda "The Bend" e le già citate Horizon, Talking Backwards e Crime), quella certosina ai moti circolari di un guitar pop che, in Atlas, appare però più diluito che pressato ("Primitive").
La tradizione da cui dichiarano di attingere i Real Estate non viene snaturata (The Byrds, lo stesso Gene Clark, Grateful Dead, gli Xtc; ma anche Built to Spill, Wilco, Pavement, The Go-Betweens), bensì curvata ad un jangle pop che penetra simbioticamente con le atmosfere folk 70s di fondo. Atmosfere da crepuscolo, in un flusso da tenue primavera intorpidita e perché no romantica - l'effetto è dreamy, non più lisergico: ad esempio nelle eccellenze "Had to Hear" e "Talking Backwards". Ma il rischio, in questo placarsi, è una monotonia subito che diviene realtà in alcuni passaggi. Difetto, per compattezza, che non riguardava in alcun modo Days - tra i capolavori del 2011.
È un disco che si fa riascoltare, anche con una certa continuità, Atlas. Magari skippando, quando si rendono insostenibili certi punti morti (Past Lives, Navigator, "How Might I Live"). Il voto (7) è generoso; è compromesso dello stagliarsi degli episodi brillanti (8) sul resto (6).
Occasione rinviata, per i Real Estate, di rendersi imprescindibili. Per ora restano necessari.
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