V Video

R Recensione

7,5/10

Ásgeir

In The Silence

Praticamente ogni recensione di quest’album sul globo inizia nello stesso modo (e questa non farà eccezione): Ásgeir Trausti, 21enne rivelazione della musica islandese ha pubblicato il suo album in lingua madre “Dýrð í dauðaþögn” diventando la rivelazione dell’anno nell’isola di ghiaccio. Dal suo buen retiro fra i geyser, il “più grande figlio di puttana” (cit.) John Grant non può fare a meno di notarlo e decide che è giunto il momento del salto internazionale. Nasce così la collaborazione fra i due, Grant aiuta il giovane Ásgeir nella traduzione dei testi e supervisiona (sebbene non menzionato) il confezionamento dell’album, oltre ad apparire nel video del primo singolo “King And Cross”.

Qui da noi, dove il potere evocativo della musica proveniente dalle alte latitudini è amplificato, impossibile non collegarlo all’immaginario dell’artista islandese nato fra i ghiacci e quindi giù di paragoni con Jónsi e Björk, nonchè con altre nuove leve nazionali come Sin Fang (vicino al nostro nella dimensione orchestrale). Di certo lui non fa niente per sottrarsene: “Far up in the north, the night can be so dark” (da “Head in the snow”) e noi capitoliamo.

Ad ogni modo, la sua musica non è così fiabesca come quella dei Sigur Rós nè sperimentale come quella di Björk, ma ugualmente evocativa e (Grant ci ha visto giusto) più “internazionale”, per ciò che può significare questo concetto.

Il folk trasversale di Ásgeir fa da matrice a risvolti diversificati, il suo falsetto tinto di soul e l’uso atmosferico della chitarra rimanda a Bon Iver, del quale sembra spesso di assistere a una fusione fra il disperato intimismo folk del primo album e l’orchestralità epica del secondo.

Batterie elettroniche e campionamenti vocali, come nell’opener “Higher”, tingono di R’n’B la musica del menestrello; in “King and Cross” dove una chitarra Kings of Convenience si trasforma in una base presa in prestito dai Rhye (qualcuno sbotta “cross” o “come on” in sottofondo fra i beat) o in “Going Home”, forse la più cupa del lotto. I beat si spezzano al di sotto dell’humming in “Head in the Snow”.

Più classico il sapore agreste di “Summer Guest” e lo slancio orchestrale della title-track. Vicinissime alle elegie del padre putativo Justin Vernon “Was There Nothing?” e “In Harmony” pur senza averne la cruda disperazione; qui la somiglianza del falsetto si fa sorprendente (e possibilmente scoraggiante per i detrattori) niente vocoder però.

In mezzo, sia idealmente che fisicamente, “Torrent”: l’apice emotivo del disco. Un turbine di rullanti ed esplosioni di fiati e un pianoforte danzante che non lasciano tregua, una carica continua che si arrampica fino allo zenith “Torrent washes away everything” per lasciarci con delle gocce di pianoforte prima di colpire di nuovo. Come comprimere le esplosioni di epica boniveriana in tre minuti e mezzo. Fin’ora il singolo migliore dell’anno.

Chissà se Ásgeir troverà una strada più personale in futuro o se si accontenterà di fare “folk melodico”, come dice lui. Nel frattempo un esordio del genere ce lo teniamo ben stretto, a girare nel lettore (o più facilmente nell’hard disk). E rendiamo grazie a John Grant in questa veste di talent scout.

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Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 7 voti.
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Dusk 7/10
creep 7,5/10
hiperwlt 6,5/10
cnmarcy 6,5/10

C Commenti

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Dusk (ha votato 7 questo disco) alle 17:28 del 20 febbraio 2014 ha scritto:

Disco carino, una delle uscite più felici in questa prima parte dell'anno altrimenti sottotono. Buona la rece!