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R Recensione

9/10

The Decemberists

Picaresque

Finalmente, con “The Crane Wife”, i Decemberists sono sbarcati nel Vecchio Continente. Ci piace immaginare il loro arrivo su un galeone da pirati, oppure su una nave fantasma come quella che galleggiava tra onde e spettri nella copertina del loro primo LP (“Castaways And Cutouts”), accolti dalla folla cenciosa di un porto di mare attratta dai bizzarri costumi dell'equipaggio, formato, oltre che dal menestrello Colin Meloy e dai suoi fidati confratelli, da principesse spagnole, vagabondi, soldati e vedove, spie, freaks di tutte le epoche e di tutti i paesi, imbonitori, trapeziste cinesi, buffoni e mangiafuoco...

Già un paio di anni orsono, tuttavia, avevamo sentito parlare di questo bizzarro teatrino, e ci incuriosivano le fotografie, pubblicate su Internet o sulle più avvedute riviste musicali, di un improbabile uomo-albero e di uno pseudo-Tom Sawyer che sembrava contemplare una qualche stella di cartapesta appoggiato ad un carretto. Scoprimmo poi che i due personaggi erano, rispettivamente, il cantante-autore Colin Meloy e la tastierista Jenny Conlee, stravaganti personaggi che, assieme al chitarrista Chris Funk, al bassista Jesse Emerson e alla batterista Rachel Blumberg, formavano il gruppo dal nome suggestivo: The Decemberists, di cui usciva, nel Nuovo Continente, l'ultimo album: “Picaresque”.

Difficile, difficilissimo da trovare. Chi riusciva a cavarsela con lo sharing raccontava di essersi immerso, come nell'infanzia, in un libro illustrato che narrava di viaggi e vendette, agenti segreti e fantasmi di marinai, e di aver sognato, con ritrovata ingenuità, terre lontane e avventure senza fine.

Quando finalmente riuscimmo a impadronirci di una copia su doppio LP, arrivata direttamente da qualche porto lontano delle Americhe e arricchita da una facciata intera di bonus, ci convincemmo di aver trovato un tesoro da custodire gelosamente.

Non crediamo alle etichette, e classificare il contenuto con un semplice “folk rock” non ci convince appieno, tante sono le fonti a cui i nostri eroi attingono con fantasia e divertimento, mescolandole ed elaborandole in spericolati arrangiamenti, che solo in pochi casi rischiano di apparire un pochettino sovrabbondanti.

E' il caso, ad esempio, del pezzo che dà inizio all'album (e, se vogliamo, alle danze, o ai sogni ad occhi aperti): “The Infanta”. Qui, comunque, la gran copia di strumenti, impegnati a rincorrersi tra i passaggi di una indiavolata chitarra acustica e i paesaggi di una Spagna secentesca, rende in maniera suggestiva l'atmosfera barocca e, appunto, picaresca, del quadro a olio che un grande Meloy-Velazquez dipinge con la sua voce nasale.

Seguono la struggente ballata “We Both Go Down Together”, pervasa da un lirismo d'altri tempi, e “Eli, The Barrow Boy”, un quadretto sospeso tra Twain e Murillo, una novella proveniente da un passato nascosto tra le pieghe dell'infanzia o della “pensosa adolescenza” gozzaniana allietata dai libri di Giulio Verne e, aggiungiamo, dalle avventure di Tom Sawyer e Huckelberry Finn.

Atmosfere più tese, alla Stevenson, sono invece affidate al racconto di spionaggio “The Bagman's Gambit” e a quello che probabilmente è il capolavoro del disco: “The Mariner's Revenge Song”, una lunga suite crudele e malinconica, avventurosa e tragica, sostenuta da un pathos teatrale, da una melodia che non si dimentica facilmente e da una gran danza finale condotta dalla fisarmonica di Jenny Conlee.

Il nome più spesso affiancato ai Decemberists è quello dei Belle and Sebastian, ma qui ci troviamo di fronte a qualcosa di assai diverso nell'approccio e nei fini raggiunti. Più convincente potrebbe essere il confronto con il Neutral Milk Hotel del geniale Jeff Mangum, ma anche in questo caso sono più le divergenze ad affiorare che le pur notevoli affinità.

Insomma, “Picaresque” è un disco assolutamente da consigliare a chi cerca un pop intelligente ma piacevole, un volo libero sopra terre inesplorate, a chi vuole concedersi un breve sogno prima di tornare ad immergersi in una sempre più caotica e frettolosa quotidianità.

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Voto degli utenti: 8,3/10 in media su 10 voti.
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C Commenti

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Marco_Biasio (ha votato 9 questo disco) alle 15:26 del 27 gennaio 2007 ha scritto:

Picaresque

E' proprio un discone! Ma io continuo a preferirgli Castaway And Cutouts. Lo sento più libero e sbarazzino

Bellissima la recensione, bravo!

fabfabfab (ha votato 9 questo disco) alle 21:47 del 7 aprile 2009 ha scritto:

Disco praticamente perfetto. "Eli, The Barrow Boy" potrebbero averla scritta duecento anni fa come ieri, "We Both Go Down Together" sembra aggiornare la lezione dei R.E.M., "The Mariner's Revenge Song" è la versione solare di "The Mercy Seat" di Nick Cave. E poi ancora.

Recensione decisamente all'altezza. Bravo Paolo.

Marco_Biasio (ha votato 9 questo disco) alle 21:58 del 7 aprile 2009 ha scritto:

RE:

Ora ti tocca "Castaway And Cutouts"

target (ha votato 8 questo disco) alle 22:03 del 7 aprile 2009 ha scritto:

Non saprei dire se è il loro picco, ma certo è un gran disco. Davvero, "Eli, the barrow boy" è un carboncino folk da brividi (inseparabile dalla narrazione: Meloy vive in un tutt'uno con le sue creature letterarie, e "The Engine Driver" lo spiega bene), e "The mariner's revenge song" è a dir poco irresistibile. Peccato solo per alcuni episodi tirati un po' troppo per le lunghe (un loro vizio da sempre...). 8. Paolo alè.

Roberto Maniglio (ha votato 8 questo disco) alle 1:13 del 26 agosto 2009 ha scritto:

è stato il disco che mi ha fatto conoscere i Decemberists; il loro disco migliore insieme a "Castaways and Cutouts".

bargeld (ha votato 7 questo disco) alle 14:03 del 26 agosto 2009 ha scritto:

Anch'io li ho conosciuti grazie a Picaresque. Oggi però lo ascolto di rado, il che qualcosa significherà. P.s. grazie al bisius per castaway... e per aver riportato in auge l'argomento Decemberists! Però the hazards of love preferisco non votarlo.

Roberto Maniglio (ha votato 8 questo disco) alle 22:10 del 26 agosto 2009 ha scritto:

Nemmeno io ho votato the ahzards of love perchè mi ha spiazzato: per il momento ogni volta che lo ascolto mi crea stati mentali (e giudizi) opposti