Tiny Vipers
Hands Across the void
Non ci si capisce nulla. “ Buon segno, il disco è bello”- tu pensi.
Hands across the void non lo è.
È un disco disgustoso.
Non so come si possa paragonare la voce di Jesi Fortino, aka, Tiny Vipers a quella di Nico o della Newsom. Dici Seattle e subito ti vengono in mente grunge, Nirvana, Hendrix, Mudhoney. Quasi a nessuno viene in mente di associarlo a questo nuovo personaggio che incide per l’etichetta Sub Pop, da sempre molto attenta, da oggi rea di avercela sdoganata.
Il disco lo si è ascoltato più VOLTE, anyway. Campfire resemblance è un mantra narcolettico infiorettato di dissonanze digitali, l’ascolto è più facile con il secondo pezzo,On this side, più orecchiabile e allegro. Seguono Aron, Shipwreck e Forest on fire (la track più significativa), spezzate, dissonanti e severe. Swastika è la canzone che vale tutto l’ascolto: lunga, modulata, ululata, gli riesci a stare dietro a fatica.
The Downward chiude l’album con le sue melodie misticheggianti e oscure.
Nel marasma più totale si intuisce che Tiny Vipers giocherella con il folk, la soluzione a portata di mano per chi ha la voce a mezz’asta e un’ insostenibile sonnolenza blues. Ma anche tanto coraggio e cocciutaggine. Comunque sia, questa donna è il male. Preferisco Tullio De Piscopo.
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