R Recensione

7/10

Artemoltobuffa

L'Aria Misteriosa

L’aria misteriosa esiste. È quella che si respira in certi giorni di primavera, quella che vibra camminando per strada dopo certi incontri, quella dei treni prima di arrivare, quella che hai quasi sfiorato a tredici anni sulle catenelle della sagra. Non si tocca, non si vede, ma esiste. Alberto Muffato, alias anagrammante Artemoltobuffa, le dedica un intero disco, il suo secondo, e cerca di metterla in musica.

L’esperimento, si capisce, è buffo: e buffa davvero è l’arte dell’artigiano (architetto!) veneziano. In queste dieci schegge di musica all’ossigeno vagabonda nei territori di un pop soffice e cameristico, che può essere accostato a Belle And Sebastian e Kings Of Convenience, o, rimanendo in Italia, a De Gregori e magari Bersani, passando per i Perturbazione e per gli amici Non Voglio Che Clara; non a caso è proprio Fabio de Min, leader della band bellunese, a produrre il disco e a curare gli arrangiamenti orchestrali. Un pop delicato, che invece di pungere culla, che invece di tagliare leviga, che usa le chitarre per farsi un tappeto su cui distendersi, le parole per disegnare e gli archi per colorare. E la camera diventa un parco.

Ne escono canzoni curiose, impertinenti e schive allo stesso tempo. La voce di Muffato, che un po’ canta un po’ parla e un po' stona, un po’ trascina il suo accento e un po’ lo camuffa, è adattissima al ruolo. È il cantautore creativo e titubante, che guarda il microfono ma ogni tanto si volta, che deve usare il controcanto ironico per esporsi. Qui si denuda solo nella ballata operaia di “Tempo Al Tempo”, dove il piano sostituisce la chitarra, con risultati italianamente classici (Non Voglio Che Clara docent).

Per il resto domina una commistione quasi magica tra visionarietà e vissuto iper-ordinario. Muffato fa il jongleur moderno, immerso nella prosaicità più banale (“Impiegata Delle Poste”), ma sempre pronto a drogarla e stupefarla. Le cose del quotidiano si trasformano, rivelano un lato poetico, che magari rimanda al mitico spazio dell’infanzia: in “Estate” si respira un panismo domestico pieno di stupore, somma di piccole madeleines alimentate dal tocco orchestrale. Ne esce un tableau vivant delizioso. E nasce, così, il mito privato delle lucciole (“Lucciole”), con cui Muffato cerca di recuperare una ruralità e un tempo perduti (che conosca Corrado Govoni, l’artista buffo? Molti punti in comune). Ed ecco i campanelli e gli xilofoni.

Non ci sono, in questo disco, melodie radiofoniche o riff che lasciano il segno. Non è su questo che punta Artemoltobuffa. Punta su trame di arpeggi acustici, su arrangiamenti festosi, da marching band (“Dove Lei Passa”), su divagazioni dal sapore anni ottanta (la curiosa “Aranciata", un po' alla Eno). Punta sulla levità: la title-track (voto più alto) è una breve serenata dell’ineffabile, in cui Muffato cede all’irragionevolezza dell’amore con un passo assieme timido ed appassionato. Punta su un’anarchia color pastello: la bellissima chiusura di “Se Un Giorno” è un inno al disordine e all’irrazionalità (“l’ordine alla fine è un principio già di morte”; altrove: “le cose perfette non ci portano fortuna, dobbiamo metterci di impegno a rovinarle ad una ad una”) fatto di archi e di uno squisito ritornello alla Gazzè.

E dimostra che l’aria misteriosa esiste davvero. E che il bello sta proprio nel non poterla capire.

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 2 voti.
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Peppe 10/10
post 6/10

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