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R Recensione

5/10

Divanofobia

I Fantasmi Baciali

Non basta andare a capo ogni tanto e infilare nella pagina vocaboli desueti, per scrivere bella poesia. Così come non basta accostare quattro accordi di chitarra e arpeggiare con apparente disinvoltura, per comporre armonie di valore. Sfogliando il florilegio di proposte musicali nostrane, negli ultimi tempi, l’impressione è che sboccino da ogni prato band che somministrano roba già trita e ritrita, peraltro emulando la parte meno interessante del panorama italico. E, per larghi versi, il gruppo bolognese che ha nome Divanofobia si accoda alle tendenze di un sound non solo qualitativamente irrilevante, ma ormai logoro, stancante. Ricorrono, più di altri, i rimandi ai Modà, a Le Vibrazioni, ai Negramaro, di rado invece quelli più considerevoli a Marlene Kuntz e Afterhours; ma l’impressione è di una materia avara – se non del tutto priva – di originalità, con sembianze già delineate e purtroppo anche abusate.

Il gruppo si stringe attorno al cantante (e bassista) Andrea Lorenzoni, divagando e frastornando su trame elettriche di chitarre per lo più distorte, motivetti senza mordente; si segue una direzione rock e si cammina su liriche carenti di guizzi, ma che non cadono mai nel banale, nonostante il discutibile attacco dell’album (“Ciao, come stai?”). L’invito è quello di scambiare effusioni con paure e spettri (“I fantasmi baciali”, recita il titolo e recita un verso sparso nel disco), le parole affrontano i temi più disparati, senza sostare su un nucleo centrale e determinato. Eppure Compagna con figli lasciava ben sperare, così aerea e delicata, poi decorata da gorgheggi stile-Dalla. Premesse poi tradite in quel gorgo di somiglianze ad altri personaggi, affinità che sorgono inevitabili e non per il comune vezzo di classificare ed eventualmente screditare. In Non farti corrompere si mescolano le chitarre dei Marta sui tubi, l’accento di Godano e arrangiamenti tipici degli Afterhours. Lorenzoni si tramuta poi nell’alter ego del Sarcina “vibrante” (Campo di nervi) o del Pipitone dei Marta già citati (L’eremo).

Pur nella buona volontà di variare di ritmo ed energia all’interno dello stesso brano, la musica non conquista quasi mai per qualche frizzante intuizione, né un verso rimane impresso per dolcezza di suono. Dimenticabile è Sorprendente (si sente perfino il Celona da poco esordiente), Forza e sigarette assume la forma di canzonetta, che degli anni ’60 coglie però l’aspetto meno notevole. Ci-viltà e Fidia appaiono più gradevoli e sincere, ma non elevano il livello generale: la prima, malgrado l’asfissiante presenza degli arpeggi di chitarra, apre almeno a un ritornello che è uno dei pochi lasciti del disco; la seconda è un bel congedo, con l’acustica coadiuvata dalla sola voce di Lorenzoni (ora più pura e caratteristica). L’inserimento di una manciata di termini spagnoli, il desiderio di una scrittura profonda e il tentativo di dare corpo alla musica con l’incastro spesso ridondante di chitarre non può cambiare l’impressione finale: un’accozzaglia di fotografie già viste altrove, una musicalità che a un orecchio facile, popolare, potrebbe anche piacere. Ma che plasma, comunque, un lavoro assolutamente prescindibile.

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