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R Recensione

7/10

Moseek

Yes, Week-end

Da quando Barack Obama è diventato presidente degli Stati Uniti nel 2009 c’è stato un enorme chiacchiericcio su tutti i quotidiani del mondo circa l’efficacia della strategia politica utilizzata dal senatore democratico per diventare il primo afroamericano alla Casa Bianca. Ora che la sua sottile strategia comunicativa lo ha fatto rieleggere, non senza un pizzico d’incanto i Moseek, band romana nata nel 2010, si ritrovano tra le mani lo slogan tanto caro al presidente Obama e lo trasformano in uno spensierato “Yes, week-end”, come se le settimane lavorative non avessero altra funzione se non quella di aumentare l’attesa dell’agognato venerdì.

E in effetti il sound dei Moseek è molto loud, e vibra fortemente tra l’electropunk de Le Tigre e l’electroclash di Tying Tiffany, tra il rock sgangherato dei Tre Allegri Ragazzi Morti e quello elettrico dei Linea 77, il tutto in salsa Devo. I tre artisti del progetto Moseek sono dunque Elisa Pucci, voce e chitarre nonché autrice di testi e musiche, Fabio Brignone, basso e cori, e Davide Malvi, batteria e sequencer.

Dopo il breve intro “Week” cominciano le danze con “Steal-show”, tormentone da club underground con gli amici che saltano e bevono cocktail, troppo spesso traboccanti sulle T-shirt; l’impasto di chitarre e batteria è delizioso, il cantato rimane sempre al posto giusto svelando una voce, quella della Pucci, davvero carica. Forse citando i Kraftwerk, arriva poi “Numbers”, con un sound decisamente più electro e il tono della marcetta militare, in una dimensione di scanzonato buon umore che paragona la follia meteorologica di marzo allo stato di evidente confusione di ogni week-end che si rispetti. Ma il brano scelto per il lancio sui media di questo “Yes, week-end” è “Pills”, rapido e frenetico, in un panorama metropolitano di ingorghi e pozzanghere, con un ritornello niente male e con infiltrazioni electro che lo rendono schizofrenico al punto giusto.

I Moseek decidono di darsi una calmata solo ora, quando suonano “In slippers”, meravigliosa canzone d’amore che parte con la sola voce e pian piano sale, come una colonna sonora post-rock, verso un carezzevole intreccio di chitarre e filtri, batterie e pad. “How to believe” torna al disincanto festivo di “Pills”, con i cori in ripetizioni a rendere il tutto ipnotico eppure tremendamente razionale, come sono certe sbornie del sabato; “Leaf”, d’altro canto, pare provenire dallo spazio siderale, con effetti al microfono che rendono la voce simile a quella degli astronauti della ISS.

Dopo “Blunder”, elettronica e funky, arriva la bellissima cover di “Come together” dei Beatles, con un tocco fortemente elettrico che non la stravolge ma che al contrario la personalizza: gli FX e un basso portentoso amplificano la portata swampy del pezzo originale e il finale tra hard rock e avanguardia lo rende indimenticabile. Prima del breve e percussivo outro “End” arriva un’altra affascinante traccia, “Mr. Benson”, che, attraverso un’elettronica simile a quella dei sintetizzatori a matrice, ricama su di un testo molto profondo un adagio che divaga tra bassi e batterie.

Sonorità indie italiane, veramente indie, nei fatti esistono, ma assai raramente riescono ad emergere a livello nazionale, figuriamoci ad un livello superiore, nonostante band come i Moseek si siano prefissate di cantare in inglese e di rimanere al passo – musicalmente parlando – coi tempi. “Yes, week-end” è un disco indie godibilissimo, perfetto per un fine settimana nella Roma degli studenti fuorisede, scorrazzando tra il Circolo degli Artisti e il Qube, tra San Lorenzo, Testaccio e il Pigneto, in cerca dell’ultima briciola di sabato prima che un altro lunedì arrivi a guastarci l’umore.

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