R Recensione

8/10

Paolo Benvegnù

Le Labbra

Che ricada, dunque, su coloro che sono stati i protagonisti del rock alternativo “nel fosco fin del secolo morente”, l’investitura di una nuova via italica alla canzone d’autore? Se Ballate per le mie piccole jene e Uno erano due indizi (per tacere poi di Offlaga, Baustelle, Giorgio Canali e Il teatro degli orrori), Piccoli frammenti di film (2003) e soprattutto Le labbra di Paolo Benvegnù fanno già una prova. Si perché, mutatis mutandis, cinquant’anni dopo (convenzionalmente, dall’affermazione di Modugno) siamo ancora qui a parlare di loro. I cantautori, una categoria che sembrava ormai definitivamente svilitasi fra la vuota corrività dei neo-melodici sanremesi e gli ultimi caduchi, smorti raggi di sole che dardeggiano agonizzanti nell’autunno dei troppi reduci sessantottini (o, in qualche caso, sessantottenni) e settantasettini.

Ma è dal loro sangue che, forse, “nascerà la nuova istoria”: una svolta in cui la decadenza della prosa in versi, per anni consunta da accompagnamenti minimali che avevano come unico scopo la levitazione declamatoria del senso, è riscattata dalla lezione della musica indipendente, immersa nel bagno d’argento sonico della gamma alt e post (concetto peraltro relativo dato il decennale ritardo con cui le “retroguardie” giungono nel nostro paese).

Benvegnù, d’altro canto, un po’ cantautore lo è sempre stato, nel senso che ha sempre confidata le sue storie a voce e chitarra, anche quando, con gli Scisma, cavalcò esplicitamente la tigre del noise “colto” scolpito da orchestrazioni jazz. Adesso che non c’è più bisogno di trincerarsi dietro il rumore per farsi notare, Benvegnù può sofficemente adagiarsi sulle dolci note del suo piccolo ensemble da camera (Andrea Franchi, batteria, basso, chitarra e pianoforte; Guglielmo Ridolfo Galliano, violoncello, pianoforte e chitarra; Luca Baldini, basso, contrabbasso e pianoforte) che in questo disco, attraverso l’onnipresente caratura jazz, lo scorta verso inattesi sviluppi neo-Canteburyani.

Un ispirazione insieme lucida e farneticante alligna fra i solchi dispari di La schiena che traduce le inferenze “afteriane” in sfumate derive acustiche e improvvisi abbandoni psichedelici; così come le sezioni di archi e fiati dirimono il più classico degli arpeggi indie verso un esaltante finale prog-jazz (La peste). Il pop da camera (per piano tromba e violoncello) di Il nemico e Amore santo e blasfemo viene scheggiato da una ricercata andatura in sincope (controtempi di cassa e rullante e ride in sedicesimi). Trenodia e psichedelia collidono poi fino a compenetrarsi del tutto in Jeremy, prima che da uno splendido assolo di violoncello germogli un epilogo quasi raga.

Ne La distanza una slide convoglia l’up-beat folk-tronico sui binari di un cocktail lounge amerindo; il picking confidenziale (e l’erotismo/esotismo “fossatiano”) di Interno notte (forse il suo capolavoro) è obliato da interludi cool jazz e jump in stile big band (tromba e sax). Il Fossati di Discanto e Macramè aleggia sul contrappunto indie, nervoso, dissonante ed orchestrale, di L’ultimo assalto (eccellente l’uso in chiave ritmica di piano e archetto) e Sintesi di un modello matematico. Lo stesso spirito free che anima le pennate crepitanti e le limature d’archetto di Cinque secondi, i cui tasselli armonici vengono scomposti da calibratissimi break jazzati. Con il soft rock “inditaliano” di 1784, Benvegnù chiude in sordina la sua opera più ambiziosa e riuscita facendosi perdonare qualche caduta d’intonazione (non che stoni, tutt’altro, è che talvolta banalizza la sua interpretazione “grattugiando” virilmente Agnelli e Tiromancino) e l’ostentato “baudelairismo” di rimando nei testi (ormai è zeitgeist: “fai come faceva Baudelaire”, dice Bianconi, come se fosse facile: io, ad esempio, mi sto rileggendo per la terza volta “I fiori del male” con il solo risultato di fermarmi sempre più ossessivamente a riflettere su quanto sono indegno e penoso!)

 

Musica immanente per le labbra di tutti i cantautori di domani. Non mancate, si vive solo due volte.

V Voti

Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 13 voti.

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Nadine Otto (ha votato 6 questo disco) alle 10:03 del 7 marzo 2008 ha scritto:

Resistenza contro il richiamo delle labbra

Bella recensione, Monsignor Coacci. Con qualche obiezione sul voto. A me lo stile di Paolo Benvegnu piace moltissimo. Però suo nuovo disco mi ha parecchio deluso. A parte qualche bello spunto, qualche trovata jazzistica ispirata, mi pare un disco un pò patetico, i testi oscillanti tra l'ispirato e sciapo. Baudelaire mi pare lontanissimo. L'ho visto dal vivo una volta e mi ha davvero preso: aspetto fiduciosa il suo album prossimo! Saluti

prettyvacant alle 11:02 del 7 marzo 2008 ha scritto:

cantautorato intimista

recensione molto ben scritta

il disco di benvegnù è magnifico. ti squassa davvero dentro.

peccato che in italia i bravi come lui son costretti ad autoprodursi e le checche snob tipo baustelle trionfino

TheManMachine (ha votato 7 questo disco) alle 13:04 del 7 marzo 2008 ha scritto:

Innanzitutto: recensione eccellente, leggerla è un piacere, bravissimo Simone! Il disco: altro album nuovo di un artista italiano di cui si parlerà e che verrà ascoltato, verosimilmente, molto, che però in me suscita non poca perplessità. Da un lato non posso non riconoscere il talento di Benvegnù, il suo impegno a fare una musica che non si disperda tra la paccottiglia sonora di largo consumo che ci sommerge ogni giorno, gli arrangiamenti raffinatissimi, le soluzioni melodiche intriganti. Dall'altro lato, questo disco risulta per me quasi sempre troppo cervellotico e involuto per farmi desiderare di riservargli un posto nella zona centrale sui miei scaffali porta cd. Non è diretto, non "prende", né nelle musiche, e nemmeno nei testi. Alla fine, questo disco riesce ad essere per me appena discreto. Tu annoveri Modugno, ma a Modugno bastava una chitarra e la propria voce per offrire capolavori, luì si diretto e immediato, ma nello stesso tempo non scontato, molte volte plurisenso, basti pensare a "Il vecchio frack" per capire di cos'era capace Modugno. Forse bisognerebbe escogitare un nuovo termine per definire i musicisti che sono insieme autori e interpreti delle proprie canzoni. Il cantautorato italiano nell'accezione più diffusa del termine forse è finito negli anni Settanta. Dico forse. E' una mia idea... Ciao, alla prossima!

simone coacci, autore, alle 14:18 del 7 marzo 2008 ha scritto:

Allora, grazie innanzitutto per i commenti solerti, appassionati ed intelligenti: a mio modesto avviso è importante, per quanto discordi si possa essere sul giudizio formale, che un disco del genere non cada nel dimenticatoio perchè possa aprire interessanti prospettive di dibattito.

Per Nadine: Merci, mademoiselle. . In effetti i testi sono un po' il tallone d'Achille di Benvegnù in questo disco. Nonostante l'ispirazione volenterosa, Baudelaire non è mai stato così distante (e come potrebbe non esserlo?)

Per Pretty: apprezzo la provocazione che serve in effetti a mettere il dito nella piaga della nostra discografia, anche se i Baustelle a me piacciono e non è facile maneggiare materiale "sputtanante" con la sapienza con loro sono capaci di farlo...cmq i gusti son gusti.

un bacio!

Per The man machine: hai colto perfettamente quello che insinuavo. C'è una nuova specie di autori (ancora in attesa di nome e definizione) che cerca di coniugare il primato della parola cantata con l'esperienza compositiva collettiva insita nelle grandi stagioni dei gruppi (la scena indie anni '90, ma anche la new wave e il prog anni '70), è un passaggio irrinunciabile se si vuole sprovincializzare la melodia e uscire dalla dicotomia regressiva testo/accompagnamento. In questo senso la stagione dei cantautori anni '70, con tutto il bene con cui se ne può (anzi se ne deve) parlare (e con le dovute eccezioni) ha arrecato molti danni alle generazioni successive.

prettyvacant alle 12:50 del 8 marzo 2008 ha scritto:

materiale sputtantante

eh, si coraggiosi loro!

anche se i primi due dischi dei baustelle restano tra i miei preferiti per quanto riguarda l'"indie" made in italy( se questo genere può in qualche modo descrivere la loro musica)

ozzy(d) alle 18:02 del 13 marzo 2008 ha scritto:

tu quoque!

ahi ahi coacci, ci stai tradendo per le sirene di ondarock! pentiti finché sei in tempo!

simone coacci, autore, alle 14:06 del 14 marzo 2008 ha scritto:

Ah ah ah, addirittura! Quello è un side-project: questo è il mio gruppo principale. Qui sono a casa mia. Anzi, a casa nostra...

TheManMachine (ha votato 7 questo disco) alle 21:29 del 14 marzo 2008 ha scritto:

Side-project?

Simone, nel caso di ondarock, più che di side project penso si possa parlare di side effect, effetto collaterale, come quando si prendono le medicine))

Enrico Venturi (ha votato 7 questo disco) alle 10:58 del 16 marzo 2008 ha scritto:

Che bella queste recensione. Grazie Simone. Terminato ora il primissimo ascolto...la partenza di "La schiena" mi ha subito ben disposto, uno dei pezzi più riusciti di Benvegnù, in assoluto. Poi è vero che si perde in certi suoi stereotipi, paradossalmente il disco sembra, sotto certi aspetti, più immaturo di "Picoli Fragilissimi Film". E non parliamo certo di un esordiente...La chiusa di "1784" invece mi ha lasciato un buon sapore, una canzone facile facile che fa proprio della assenza di pretese il suo punto di forza. A volte è questo il Benvegnù che preferisco.

Marco_Biasio (ha votato 7 questo disco) alle 19:50 del 16 marzo 2008 ha scritto:

Congratulazioni vivissime, Simone!

Recensione viva, palpitante e, a mio parere, molto cantautorale, che descrive alla perfezione il materiale trattato. Il disco sono riuscito ad acciuffarlo originale, in mezzo alla catasta di nuovi arrivi, nello scaffale dello studio radiofonico dove conduco la mia trasmissione settimanale, e mi è davvero piaciuto, tanto che conto di comprarlo non appena riuscirò a trovarlo. Songwriting di altissimo livello, con voce graffiante, testi eccellenti, sezione strumentale ricca e in alcuni casi particolarmente elaborata (vedi ad esempio "La Peste", ma anche "Jeremy"). Peccato per un po' di flessione nel finale che mi ha riportato, per assonanza, ai pezzi posti in apertura. Ma un 7.5 ci sta veramente tutto. Grazie mille del consiglio. P.S. Ma poveri Baustelle, lol! Perchè ce l'avete tutti con loro?

Suicida (ha votato 7 questo disco) alle 9:53 del 23 marzo 2008 ha scritto:

Il solito pop colto che a tratti incanta e a tratti annoia...

Birrozzo (ha votato 10 questo disco) alle 12:39 del 28 marzo 2008 ha scritto:

Intimismo Totalizzante!

Bello e Intenso, stiamo nel mezzo tra un 8 e un 7

REBBY (ha votato 6 questo disco) alle 17:41 del 7 aprile 2008 ha scritto:

Premesso che non sono facilmente entusiasmabile per la canzone d'autore italiana, seppur fondamentale, ritengo quest'album meno bello del

precedente. Di Cerchi nell'acqua non vi e' traccia , ci accontentiamo de La distanza.

andy petretti (ha votato 8 questo disco) alle 0:06 del 12 febbraio 2009 ha scritto:

ci guarderemo indietro...

...e con il senno di poi guarderemo a questo disco come ad una pietra miliare di quel movimento di cantautori sotterranei che diventeranno immensamente celebri solamente in tarda età. Benvegnù ha sempre dimostrato un talento intimista impareggiabile, ha dei colpi di genio che nasconde giocandoseli senza alzare mai il volume, è un poeta stanco e maledetto che assiste al massacro con una lacrima ed una rosa tra le mani. No, non è come all'esordio, qui ha scavato un pò più a fondo, è meno formale e più sperimentale, ha fatto un disco che tireremo fuori tra vent'anni e diremo "ah, benvegnù", e giù un sospirone.

Norvegese (ha votato 8 questo disco) alle 20:45 del 28 gennaio 2011 ha scritto:

Album veramente bello, mai noioso o banale..e ottima anche la recensione. Aspetto il nuovo album con impazienza!

Utente non più registrato alle 0:40 del 23 aprile 2015 ha scritto:

Giovedì 2 luglio 2015 Carroponte S.S.Giovanni (MI) ore 21:30 concerto gratis